lunedì 11 marzo 2013

Dolcificanti alternativi: come scegliere?

Come c' era da aspettarsi, a seguito della pubblicazione dei vari articoli dedicati allo zucchero, all' iperglicemia e problemi relativi (vedi post precedenti), alcuni mi hanno chiesto informazioni su come poterlo sostituire.

Prima di  rispondere, però, mi sembra opportuno fare una doverosa precisazione.

Siamo tutti talmente condizionati da abitudini  acquisite fin dalla nascita, che ci sembra cosa del tutto normale ricercare regolarmente qualcosa di particolarmente gratificante per il palato, che di solito si identifica con tutto ciò che ha un intenso sapore dolce, magari per bilanciare le...  amarezze della quotidianità.

Ecco dunque che la rinuncia, anche solo parziale, a prodotti che una volta erano di uso riservato alle ricorrenze, alle feste, come torte, pasticcini, biscotti, gelati, per non parlare di altri che neanche esistevano, come merendine industriali, brioches e bevande zuccherate, ai più può sembrare una proposta assurda e inaccettabile.

E se molti, per non provare sensi di colpa, ripiegano sui dolcificanti alternativi, si deve prendere atto che la cosa non cambia di molto, anche perchè non tutti i surrogati dello zucchero, come stiamo per vedere, rappresentano una opzione vantaggiosa.

Ma prima di affrontare quest' argomento conviene soffermarsi su qualche concetto poco noto  anche presso gli stessi addetti ai lavori, per poterci rendere conto di quanto effettivamente ci siamo allontanati dall' equilibrio naturale di epoche ormai remote.

Come accennato in un vecchio articolo ("Le straordinarie proprietà delle alghe marine..."), con l' avvento dell' agricoltura, diverse migliaia di anni fa, e la conseguente domesticazione di semi (cereali soprattutto) e frutta, si è verificata un pò alla volta una selezione di specie più adatte ai gusti e alle esigenze delle popolazioni stanziali che all' epoca avevano cominciato ad organizzarsi. Per esempio, per rendere il frumento più adatto alla panificazione, si faceva in modo di ottenere, con la coltivazione, varietà di semi più ricche di glutine (e in effetti la percentuale di questa proteina nel frumento attuale ha raggiunto, come sappiamo, livelli decisamente elevati).

E' successo così che nel corso dei secoli il contenuto in carboidrati, sia  complessi che semplici, sia andato man mano crescendo in cereali e frutta, tanto che, per rimanere nell' esempio precedente, che è il più significativo, il frumento di oggi non ha quasi più nulla a che vedere con quello in uso ai tempi dei Romani.

Del resto basta controllare il contenuto nutritivo e il sapore delle varietà selvatiche odierne   di semi  e frutta e confrontarli con quelli dei corrispondenti prodotti coltivati per notare la differenza: la frutta selvatica in particolare colpisce per il suo sapore decisamente più aspro, dovuto soprattutto alla minore densità di zuccheri.

Oltre alla quantità è cambiata anche la qualità: la concentrazione di amiloso, un tipo di amido presente nei cereali, si è ridotta a favore delle amilopectine, altro tipo di amido, che però eleva maggiormente la glicemia.

Da ciò si evince che oggi da questo punto di vista stiamo tutti, chi più, chi meno, con due piedi in una scarpa, perciò, se ad una dieta in cui siano già presenti sufficienti quantità di cereali, legumi e frutta (gli alimenti zuccherini per antonomasia) si aggiungono più o meno regolarmente vari dessert e bevande dolcificate, sia pure preparati con ingredienti "sani", è facile che questi diventino la goccia che fa traboccare il vaso.

Si dovrebbe riflettere sul fatto che per millenni l' unica fonte di sapore dolce sono  stati gli alimenti di per sè naturalmente dolci, come la frutta (le mele cotte, ad esempio, o le castagne sono dolcissime) e ortaggi come zucca e carote.

Perfino il miele era usato in antichità più a scopo medicinale che per dolcificare, mentre l' abitudine di consumare dolciumi e bevande dolcificate è relativamente recente (si pensi al caffè, che non ha una lunga storia, e si prende quasi sempre zuccherato).

In effetti, se ci si pensa bene, in natura non esistono bevande dolci.

Queste considerazioni vanno oltre le solite banali motivazioni basate unicamente sul conteggio delle calorie, al fine di stabilire se un dato alimento o dolcificante  si può considerare idoneo e raccomandabile.

Qualsiasi alimento dolce infatti, a prescindere dal suo contenuto calorico, ha sempre un effetto complesso sul corpo: per esempio, secondo la Medicina Orientale, un eccesso di sapore dolce può nuocere a pancreas, milza e stomaco, e può avere ripercussioni su reni, vescica e sulla sfera sessuale; inoltre, dal punto di vista evolutivo il nostro corpo ha imparato ad associare il sapore dolce all' apporto calorico, perciò alcuni scienziati sospettano che dolcificanti artificiali non calorici potrebbero confondere i meccanismi fisiologici di regolazione dell' appetito col loro messaggio fasullo. Il risultato a lunga scadenza potrebbe quindi essere il contrario di ciò che ci si prefigge di ottenere con una dieta ipocalorica.

Per questi motivi, prodotti moderni come aspartame, saccarina e xilitolo, al di là della loro sospetta cancerogenicità, al di là del fatto che l' aspartame causa deplezione di calcio (è stato dimostrato) esattamente come lo zucchero comune, non possono essere considerati  degni sostituti di quest' ultimo. Questi prodotti sono da rifiutare in partenza, in quanto non hanno storia, non fanno parte del naturale processo evolutivo sottostante alla nostra costituzione umana, e perciò non possono avere alcuna valenza positiva.


Perfino la stevia, che sta andando per la maggiore perchè sembra proprio il dolcificante ideale per il suo apporto calorico nullo e in più derivata da una pianta, e quindi  naturale, si è dimostrata un' alternativa dalle false promesse (parola di Berrino!), in quanto a causa del suo potere dolcificante 200 volte superiore allo zucchero trasmette al nostro corpo (che si è evoluto e programmato attraverso centinaia di migliaia di anni di evoluzione biologica e associa il sapore dolce alla quantità di zucchero introdotta cogli alimenti) un segnale ingannevole che fa sì che venga incrementato l' assorbimento degli zuccheri presenti in altri alimenti ai quali la stevia si aggiunge.

Ma allora dobbiamo proprio rinunciare al dessert?

Intanto è il caso di rendersi conto che qualsiasi attrazione (o repulsione) in fatto di alimenti e bevande, qualsiasi dipendenza ha sempre un significato. A parte la dipendenza da zucchero dovuta proprio al suo consumo abituale, di cui ho  già parlato, il motivo principale del desiderio smodato, così diffuso, verso tutto ciò che lo contiene è da attribuire principalmente all' eccessivo consumo di cibo animale che caratterizza le diete moderne,  di prodotti da forno, come pane, biscotti, crackers e grissini, e anche all' eccesso di sale. Alimenti notevolmente contrattivi come questi, infatti, ne richiedono altri altrettanto espansivi, come appunto lo zucchero, e così l' organismo,  trovandosi nella disperata, continua ricerca di una sorta di bilanciamento, cerca di comunicarci in modo fuorviante i suoi bisogni.

Da ciò si deduce che una dieta opportunamente equilibrata (senza estremi) dovrebbe risolvere il problema alla radice, o almeno ridimensionarlo.

Detto questo, voglio rassicurare chi legge sul fatto che non è necessario eliminare dolci e dolcificanti, a patto che il loro consumo (sempre nell' ambito di una dieta peraltro equilibrata) sia sporadico e la qualità degli stessi soddisfacente.

E purtroppo su quest' ultimo punto c'è disinformazione e confusione, così che spesso non si sa cosa scegliere.



Perciò cominciamo a sgombrare il campo da un equivoco molto diffuso: lo zucchero di canna, anche se presentato come "integrale" in alimenti "dietetici", è un bluff.

Il fatto che sia di canna non ci dice molto, indicando questa specificazione solo la sua provenienza, mentre ciò che interessa è il grado di raffinazione, e quello presente nei prodotti industriali è sempre più o meno raffinato ( a volte si tratta di zucchero bianco mescolato con un pò di melassa), perchè il vero zucchero integrale è costoso e in più ha un retrogusto di liquirizia non a tutti gradito, perciò all' industria dolciaria non conviene.

Quest' ultimo si presenta in zolle color marrone opaco (non si vedono i tipici cristalli di zucchero luccicare) ed è conosciuto sotto varie denominazioni (Panela, Mascobado, Rapadura).

Tuttavia, pur potendo vantare un profilo nutrizionale ben più ricco e completo rispetto al finto zucchero integrale, ha un contenuto zuccherino (quasi esclusivamente saccarosio) elevatissimo, superiore al 95%, e quindi non risolve i problemi relativi alla glicemia. Perciò meglio relegarlo ad un uso occasionale.

Le stesse considerazioni valgono per lo sciroppo d' acero, sia pure con una percentuale zuccherina inferiore.

Altri dolcificanti alternativi comuni, ma di discutibilissima validità, sono il fruttosio raffinato e i vari sciroppi di mais (conosciuti anche come sciroppi di glucosio/fruttosio), molto usati dall' industria dolciaria per il maggior potere dolcificante del fruttosio (oltre che per i soliti motivi economici) e giustamente accusati di essere fra i maggiori responsabili dell' incremento di obesità  negli ultimi decenni specie negli USA , dove il consumo è il più alto.

Il fruttosio infatti, il denominatore comune di questi, pur avendo un effetto più blando sulla glicemia rispetto allo zucchero comune e al glucosio, favorisce la sintesi di trigliceridi nel fegato, dove viene convogliato per essere convertito in glucosio (l' unico zucchero che le nostre cellule possono utilizzare per il metabolismo), e così si finisce col peggiorare l' assetto lipidico, specie in chi soffre già di problemi relativi ad iperglicemia. Inoltre sembra proprio che questo zucchero abbia persino maggiori responsabilità del saccarosio nel determinare la resistenza insulinica e la glicazione delle proteine (fenomeno molto sottovalutato, dato che porta a malattie degenerative come cancro, arteriosclerosi e perfino  Alzheimer, oltre ad accelerare il processo di invecchiamento).

Anche lo sciroppo d' agave è ricchissimo di fruttosio, e per giunta depauperato della maggior parte dei minerali e altri costituenti del succo della pianta da cui è ricavato. Questo infatti contiene sostanze di sapore sgradevole, che vengono pertanto eliminate con procedimenti di raffinazione, privandolo così in buona parte anche di altre sostanze utili. Il risultato finale perciò è ancora una volta un dolcificante non integrale, molto simile ai vari sciroppi di fruttosio e quindi non raccomandabile.

Il miele naturale (non quello industriale) sarebbe un discreto dolcificante, data la sua ricchezza di preziose sostanze, ma il suo alto contenuto di fruttosio, che assieme a quello di glucosio fa salire la quota zuccherina a circa l' 85%, lo rende sconsigliabile per un uso frequente.

A questo punto  non rimane che parlare dei dolcificanti migliori:

A parte i vari derivati della frutta, come il succo di mela concentrato (ma di difficile reperimento), uvetta, mele secche, albicocche secche e fichi secchi, i più equilibrati in tutti i sensi sono i malti derivati dai cereali.

Si ottengono dalla fermentazione di un cereale cotto (i più usati sono il riso e l' orzo) mediante aggiunta di orzo germogliato, i cui enzimi scindono gli amidi in maltosio (un disaccaride costituito da due molecole di glucosio) e destrine (frammenti formati da poche unità di glucosio). Il tutto viene poi cotto e filtrato fino ad ottenere un fluido vischioso simile al miele.

Rispetto a questo però il malto non contiene fruttosio e la percentuale di zuccheri totali (che, come abbiamo appena detto, comprendono molecole ancora non del tutto scisse in componenti elementari) si attesta intorno al 50%, il che, assieme alla ricchezza di altri nutrienti, ne fa un prodotto ben più equilibrato.

E' opportuno pecisare la differenza tra malto e sciroppo (come spesso si legge sulle etichette), anche se possono sembrare la stessa cosa in quanto entrambi ottenuti dalla fermentazione di un cereale: nel primo caso il processo avviene grazie all' aggiunta di orzo germinato ricco di enzimi naturali, ma, dato che l' orzo contiene glutine, il malto non è indicato per i celiaci o per chi abbia intolleranza a questa proteina, mentre lo sciroppo è ottenuto per mezzo di enzimi purificati, e quindi, se il cereale in questione è il riso, non contiene glutine. C'è da tener presente però che lo sciroppo, essendo ottenuto con un procedimento diverso, contiene più zuccheri semplici rispetto al malto e perciò ha un indice glicemico più alto.

Una variante del malto è rappresentata dall' amasake, in cui si utilizza come agente fermentante il koji, invece dell' orzo germogliato, cioè lo stesso usato per il miso e il sakè.

Il risultato della sua preparazione, che non prevede la filtrazione, è una soave crema biancastra in cui la concentrazione di zuccheri non arriva al 40%, tanto che può essere consumato così com'è, come un budino, oltre che servire alla preparazione di dolci e bevande.

 

Michele Nardella
 
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4 commenti:

  1. Il tuo articolo è molto utile. Occorrerebbe informare anche certi medici che prescrivono l'aspartame; molte mie colleghe e amiche ne fanno, tristemente, uso. Grazie Michele. Buona giornata.

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  2. Grazie, lo so, c'è molta disinformazione. Per questo scrivo questi articoli.

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  3. Articolo molto interessante, io personalmente da diabetico insultino dipendente preferisco usare la Stevia, in ogni caso credo che il problema, a prescindere dal dolcificante usato, ricada sempre sulla quantità del prodotto usato. Un giusto equilibrio è fondamentale per non creare eccessi e stimoli non idonei da parte del nostro organismo. alcune sostanze come l'asportare andrebbero bandite dal mercato, ne ho fatto uso prima di conoscere i suoi effetti negativi....la gente inizia ed essere sempre più informata, ma ancora girano tante false notizie . Grazie

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  4. Grazie a lei.
    Sì, è vero, come diceva Ohsawa, la quantità cambia la qualità, e quando si tratta di diete è sempre l' equilibrio il fattore determinante. Ma in casi particolari e critici è necessario stare con due piedi in una scarpa.

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