mercoledì 19 novembre 2014

Paleo, Vegan o... Pegan?

Lo confesso:  ho rubato a Mark Hyman l' idea per il titolo di questo post usando il neologismo da lui coniato, "pegan", nato evidentemente dall' incrocio tra "paleo" e "vegan", per indicare il modello dietetico da lui più raccomandato.

La scorsa volta avevo parlato di uno stupefacente caso di guarigione avvenuto grazie alla paleo-dieta, e questo mi dà l'occasione di analizzare la teoria che c'è dietro (cosa che non avevo potuto fare prima per ovvi motivi) mettendola a confronto  con altre teorie e altri riscontri, nel tentativo di fare un pò di chiarezza su un argomento (le diete) notoriamente confuso e controverso come nessun altro.

E lo spunto me lo ha dato proprio il dr. Mark Hyman, uno dei medici più brillanti e all' avanguardia nel panorama mondiale della medicina alternativa-naturale, molto famoso negli Stati Uniti, il quale ha proprio recentemente passato al vaglio nel suo blog due fra i modelli dietetici che vanno attualmente per la maggiore: la paleo-dieta e quella vegana, per l' appunto, in quanto rappresentativi di due punti di vista opposti, e che perciò, proprio perchè, tanto nell' uno quanto nell' altro schieramento, sono in molti   a giurare di avere ottenuto benefici dalla dieta che sostengono (spesso con  fervore religioso, perchè in questi casi il fanatismo è dietro l' angolo) e pronti a spiattellare studi a supporto della stessa, finiscono inevitabilmente col confondere e disorientare chi vorrebbe avere informazioni oggettive, attendibili e idee chiare sulle scelte da compiere.

Due esempi fra tutti:  James LeBron , uno dei migliori e più pagati cestisti al mondo, che si è riscattato da una carriera agonistica inaspettatamente in declino (dovuta forse al sovrappeso) grazie a una dieta senza carboidrati amidacei a base di carne, pesce, verdure e frutta, che lo ha riportato in ottima forma; D'altro canto un altro atleta, Rick Rockholds, ha completato cinque dure maratone Ironman in sette giorni sulla base di una dieta vegana.

E naturalmente sono pure in tanti a manifestare problemi di salute pur seguendo una qualunque dieta.

In realtà per valutare l' efficacia di una dieta bisognerebbe non fermarsi all'apparenza, ma saper valutare lo stato di salute in tutti i suoi aspetti, e non solo a breve e medio termine, ma soprattutto sul lungo periodo.

Inoltre, come lo stesso Hyman fa notare, è facile portare acqua al proprio mulino: basta citare gli studi a favore della propria tesi e ignorare tutto il testo. In realtà ciò che fa la differenza è il loro numero (per questo oggi si è sempre più orientati sulle meta-analisi), la loro portata (maggiore è il numero dei partecipanti all' esperimento randomizzato e più ha valore), la loro qualità (non tutti gli studi sono realizzati in modo impeccabile, per non parlare di quelli sponsorizzati dall' industria alimentare) e, fatto non meno importante, la corretta interpretazione. Per questi ultimi due motivi, gli studi vengono  spesso sottoposti a revisione paritaria, cioè vagliati da una commissione di altri scienziati, per essere approvati e pubblicati su riviste specializzate.

Per dare un' idea del tipo di problemi e difficoltà nell' interpretare alcuni dati sperimentali a causa di alcune variabili che possono influenzare il risultato, ecco un esempio (l' argomento è trattato molto bene nel cap. 6, "La ricerca riduzionista", dell'ultimo libro di Colin Campbell, "Whole- Vegetale e Integrale"):

Si sa che soggetti asiatici che emigrano in Paesi ad alta incidenza di malattie degenerative finiscono con l' adottare le stesse abitudini locali, mangiando più carne e latticini,  ma anche più zucchero e cibi raffinati, e perciò si ammalano di più di quanto avvenga nei loro Paesi d' origine. Ma a questo punto si presenta il problema di capire se la causa è il cibo animale, lo zucchero o entrambi. E questo senza considerare altri fattori confondenti, come alcool, fumo, sedentarietà...

Ecco perchè a volte tutto ciò porta a conclusioni affrettate che vengono regolarmente smentite da successivi studi.

A complicare ulteriormente la faccenda è che le diete di cui si vuol dimostrare la salubrità non sono omogenee: per rimanere nel nostro esempio, si può essere vegani consumando comunque farine raffinate, zucchero e altri alimenti ad alto indice glicemico, come prodotti voluttuari di dubbia qualità, scarsa varietà di verdure e frutta, troppi grassi (magari quelli idrogenati) o troppo pochi, pochi omega 3 ecc., e allo stesso modo si può essere onnivori consumando cibo animale d' allevamento (sulle notevoli differenze rispetto a quello selvatico ho già detto nel post precedente), pochi vegetali freschi e di scarsa varietà, pochi grassi di qualità, senza una corretta proporzione fra i vari alimenti, solo per fare qualche esempio.

Insomma bisogna essere davvero molto competenti, attenti e ben informati per potersi districare in tutta questa giungla piena di tranelli.

Chiarito questo, c'è da dire che i due modelli che si vogliono mettere a confronto hanno più punti positivi  in comune di quanto si possa pensare di primo acchito. 

Entrambi partono infatti da presupposti sicuramente condivisibili (se si comprendono i principi ispiratori e si osservano le direttive teoriche ortodosse), come l' utilizzo di soli alimenti organici, integrali e prevalentemente vegetali (perfino la paleo, diversamente da altre diete analoghe, dà più spazio ai vegetali e pone delle limitazioni al cibo animale); niente sostanze chimiche tipo dolcificanti artificiali, cibo industriale spazzatura, OGM ed entrambi sono a favore della sostenibilità ambientale (quest' ultimo aspetto però nel caso della paleo-dieta mi sembra molto teorico); altro punto che le due diete hanno in comune è l' esclusione di latte e derivati.

E qui veniamo finalmente a uno dei punti cruciali. Sì, perchè, a differenza di altre diete iperproteiche che fanno di tutta l' erba (... si fa per dire) un fascio, come la Zona, la Atkins ecc., la paleo non si limita a discutibili considerazioni biochimiche o di ordine fisiologico sulla presunta necessità di grandi quantità di proteine animali, quale che sia la loro origine, ma si basa su una precisa teoria antropologica e paleontologica non del tutto priva di fondamento, secondo cui dovremmo nutrirci come i nostri più remoti progenitori hanno fatto per centinaia di migliaia di anni, prima dell' avvento dell' agricoltura e dell' allevamento. Essi  trovavano sostentamento cacciando e raccogliendo quello che reperivano e tutto era naturalmente allo stato selvatico.

Bisogna in effetti prendere atto che tutti gli alimenti selvatici sono nettamente migliori dei loro corrispettivi ottenuti con la coltivazione, soprattutto se effettuata coi  moderni metodi industriali. Particolarmente interessante sapere che, come puntualizza Hyman, è la carne proveniente da animali d'allevamento a contenere più acido palmitico e acido miristico, che innalzano il colesterolo e favoriscono l'infiammazione, mentre quella di animali tenuti al pascolo e nutriti ad erba, invece che a cereali e soja, contiene più acido stearico, che non innalza il colesterolo, oltre a vantare più omega 3, vitamina A e D e antiossidanti.

Così come è un dato di fatto che il cibo animale ha sempre fatto parte dell'alimentazione umana fin dai tempi più remoti e non esiste al mondo, nè è mai esistita, una popolazione che si sostenga su una dieta interamente vegetale (e le tradizioni non nascono certo per caso).

E' necessario però fare due importanti puntualizzazioni: 

Il cibo animale consumato dai nostri preistorici antenati non aveva nulla a che vedere con quello in uso oggi, e non solo per le modalità produttive. L' immagine dell' uomo cavernicolo che brandisce una rudimentale lancia passando la maggior parte del suo tempo a cacciare cervi, bisonti e mammuth, seppur radicata nell' immaginario collettivo, è ingenua e forviante. La caccia ai grandi mammiferi ha infatti avuto inizio in un' epoca relativamente recente (sicuramente meno di centomila anni fa), probabilmente come adattamento al clima che stava raffreddandosi, ed era circoscritta solo ad alcune zone della terra. In realtà il cibo animale più comune dei nostri più remoti progenitori era costituito da insetti, vermi, lumache, uova, e comunque da animali di piccola taglia, come pesci, lucertole ecc., oppure dal midollo osseo di animali più grandi e loro frattaglie, molto importanti per i  preziosi acidi grassi essenziali omega 3 ivi contenuti.

Scena di caccia in un graffite preistorico
La seconda precisazione riguarda la quantità: a parte poche eccezioni, il cibo animale ha sempre rivestito un ruolo secondario, e non fondamentale, in quanto considerato come supplemento ad una base vegetale.

Non starò a dilungarmi sui possibili indesiderabili effetti a lungo termine di un eccesso di proteine animali, essendo un argomento molto tecnico, nè accennerò alle pesanti implicazioni di una dieta di questo tipo in termini di sostenibilità ambientale (cose del resto ampiamente risapute), perciò per tutte queste ragioni (e anche per altre non ancora esaminate) non me la sento proprio di definire la paleo una dieta ideale.

E la pensa così anche il dr. Hyman, il quale, pur riconoscendo l' importanza imprescindibile di una dieta personalizzata (e quindi aperta alle più svariate opzioni), nel tirare le somme riconosce al cibo animale di qualità (cioè non d' allevamento, come ribadisco) un ruolo non più che integrativo in una dieta che abbondi in vegetali dai colori più vivaci (perchè ricchi di antiossidanti). I motivi per non escluderlo del tutto, oltre a quelli cui abbiamo già accennato, riguardano il fatto che alcuni importantissimi nutrienti, come la vitamina B12, la D3 e gli acidi grassi essenziali omega 3 (EPA e DHA), sono problematici se si opta per una dieta esclusivamente vegetale. Questi ultimi infatti, anche se in teoria possono essere ricavati a partire dai loro precursori sicuramente presenti in alcuni vegetali (come l' acido alfa-linolenico), richiedono un procedimento biochimico che in pratica si rivela non  automatico, nè facile.

Quindi Hyman procede col riabilitare cereali e legumi (esclusi nella paleo, come sappiamo), sia pure con notevoli limitazioni.

Siamo giunti così a dover affrontare quest' altro aspetto cruciale della paleo-dieta, ma l' argomento è troppo importante e complesso per farlo adesso. Esso merita sicuramente una trattazione a sè stante, cosa che mi riprometto di fare la prossima volta.

Quanto abbiamo finora visto, tuttavia, è sufficiente a giungere ad una interessante conclusione: l' illustre medico, nella sua sintesi fra tutti gli aspetti positivi di entrambe le diete effettuata alla luce delle più qualificate ed aggiornate conoscenze scientifiche, dimostra (anche se non era certo nelle sue intenzioni) un orientamento in linea con le indicazioni comprese nel modello dietetico macrobiotico standard che, pur essendo  sostanzialmente vegetale, non esclude a priori il cibo animale (fatti i dovuti "distinguo") e riconosce ai cereali un ruolo centrale nella dieta umana.


Perciò al dilemma paleo/vegan io rispondo senza esitazione: "macro!"

Michele Nardella


4 commenti:

  1. Molto interessante la questione della differenza della carne di moderno allevamento rispetto a quella selvatica. Adesso so cosa rispondere alla solita battuta "L'uomo ha sempre mangiato la carne"!
    Grazie
    Francesco Mecozzi

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    1. Hai visto? Non si finisce mai d' imparare.
      Così se qualcuno troverà da ridire sull' opportunità di vegetalizzare la propria dieta, potresti fargli leggere il mio articolo.
      Grazie a te.

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  2. Ottimo articolo e molto chiarificante. Lo stesso discorso della carne va esteso anche ai cereali: non sono più quelli di una volta e possono creare vari problemi (intolleranze ecc.). Per evitarli andrebbero preferite le varietà antiche (es. monococco)...

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    1. Grazie, Luigi.
      Quello che dici a proposito dei cereali è giusto ed opportuno. Infatti è proprio quello di cui parlerò la prossima volta, come annunciato alla fine dell' articolo.

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