mercoledì 22 marzo 2017

Dieta mediterranea, tra mito e realtà


Chi non ha mai sentito parlare della dieta mediterranea? Sono sicuro che anche chi è poco interessato al discorso sull'alimentazione l'ha  almeno sentita nominare. Ma, nonostante sia ormai divenuta a tutti familiare, quanti sanno esattamente che cosa s'intende con questa definizione?

La domanda è opportuna se si pensa alla confusione che la circonda, all'approssimazione con cui se ne parla o a come venga a volte strumentalizzata distorcendone il significato.

Pensate che molti anni fa su un quotidiano di Parma, nel decantare i prodotti gastronomici tipici di quella città (inutile specificarli), si parlava di questi come del fiore all'occhiello della cucina italiana, famosa nel mondo, come si sa, per la sua salutare dieta mediterranea, perciò di qui il passo al blasfemo accostamento diventava automatico (ricordate la proprietà transitiva di scolastica memoria?).

Ma anche senza arrivare a travisamenti grossolani come questo, i malintesi e gli errori di interpretazione sono ancora oggi all'ordine del giorno, e infatti  mi sto ancora chiedendo come si faccia a sparare balle da "Guinness dei Primati" come quella sentita proprio poco fa al tg5 (e replicata dal "Corriere della Sera"), dove si annunciava orgogliosamente che gli Italiani sarebbero fra i popoli più longevi e sani al mondo, udite udite...  grazie alla dieta mediterranea! Ma siamo pazzi?

Bisognerebbe chiedere a quei geni che hanno redatto la notizia se si rendono conto che la popolazione che mangia in modo decente è una percentuale ridicola e che la dieta standard dell'italiano medio è lontana anni-luce dal modello mediterraneo tanto strombazzato quanto disertato; e che "vita lunga" (ma anche su questo ci sarebbe da puntualizzare, come farò tra poco) non significa necessariamente sana, data l'escalation di obesità e malattie degenerative che la nostra società, come altre simili, ha conosciuto in tempi più recenti, per non parlare della dilagante violenza in tutte le sue forme e di altri comportamenti aberranti e socialmente pericolosi cui stiamo impotenti assistendo (o non dobbiamo considerare questi inquietanti fenomeni come un segno di cattiva salute?). Non si tiene evidentemente conto del fatto che la larga maggioranza degli ultra 65enni è medicalizzata, essendo costretta a prendere uno o più farmaci al giorno... a vita, perché le medicine convenzionali possono al massimo tenere sotto controllo i sintomi. E che dire poi dell'Alzheimer, che fino a pochi decenni fa neppure si conosceva?

Inoltre, fatto non meno significativo, la tanto sbandierata aspettativa di vita dal 2015 per la prima volta dopo decenni ha smesso di crescere (leggi qui) e questo potrebbe verosimilmente essere l'inizio di una inversione di tendenza generale che non riguarda solo il nostro Paese, dato che lo stesso fenomeno è stato registrato anche in USA.

Tuttavia con un pò di discernimento si arriva a capire che chi oggi è giunto ad un'età avanzata, magari anche in discrete condizioni, è perché è nato evidentemente in un periodo molto lontano dall'attuale, quando cioè le condizioni di vita, alimentazione in primis, erano ben diverse e allora sì che si poteva parlare di "dieta mediterranea" a ragion veduta. Non bisogna dimenticare che il periodo che va dal concepimento fino a che si smette di crescere, senza contare il contributo ereditario, è quello che determina le caratteristiche costituzionali. Sarei perciò molto curioso di vedere i bambini e i neonati di oggi come saranno a 70-80 anni... ammesso che ci arrivino.

Ed è proprio questa semplice considerazione che ci aiuta a capire il motivo dell'incipiente declino dell'aspettativa di vita.

Perciò, nella speranza (forse vana) di non sentire più idiozie di questo calibro, credo di aver individuato il motivo per cui si parla spesso a sproposito di "dieta mediterranea" nelle sue linee-guida piuttosto vaghe, discutibili e  anche un pò ambigue, il che si presta all'interpretazione soggettiva. Così ognuno può vederci quello che più gli piace vedere, visto che comprende di tutto e in proporzioni non ben definite. Per esempio qualcuno potrebbe consumare regolarmente dolciumi industriali e bevande zuccherate credendo di mangiare sano, visto che anche il cibo-spazzatura è contemplato nello schema. Non c'è infatti nulla che faccia capire la differenza tra gli alimenti necessari agli oggettivi bisogni del nostro organismo e quelli puramente voluttuari destinati solo a soddisfare i nostri capricci (o debolezze?), né come sostituire questi ultimi con surrogati più salutari.

Se poi consideriamo che i tanti grafici diffusi che illustrano a scopo didattico-divulgativo la famosa piramide alimentare differiscono quasi tutti e che quello schema figurativo subisce aggiornamenti praticamente a scadenza fissa la confusione e il disinteresse della popolazione sono assicurati.

La prima versione risalente ai primi anni '90 conteneva infatti errori madornali, come quello di situare i cereali alla base della piramide riconoscendone sì il ruolo cardine, ma senza specificare "integrali", differenza solo molto dopo riconosciuta come cruciale se si vogliono ottenere benefici e non i danni provocati proprio dalla raffinazione dei più comuni alimenti, anche se ancora oggi c'è qualcuno che, nel precisarlo, ci aggiunge un inopportuno "preferibilmente", dimostrando così di non aver capito niente.
Pane, pasta ecc.: che siano integrali o non...  poco importa
 
 

Un altro errore è stato quello di considerare tutti i grassi alla stessa stregua, relegandoli nel ghetto dei cibi meno raccomandabili, e cioè in cima alla piramide, mentre ora sappiamo che alcuni di essi (acidi grassi mono e polinsaturi essenziali) sono di importanza fondamentale.

Ma la maturazione di nuove conoscenze scientifiche che si aggiungono o modificano le convinzioni precedenti non sono le uniche motivazioni che spingono ai suddetti aggiornamenti: quelle ufficiali riguardano la necessità di estendere le linee-guida a istanze etiche, come la sostenibilità ambientale, e alle esigenze ed abitudini della vita moderna. In realtà sotto sotto ci sono i soliti inciuci (e come potrebbe essere diversamente?) tra rappresentanti del mondo scientifico, politici e, naturalmente, lobby alimentari, quelle che in definitiva dettano legge (di questi occulti rapporti Colin Campbell parla con dovizia di particolari nel suo libro "Whole - Vegetale e Integrale").

Solo così si spiega l'assurda raccomandazione di consumare 2 o 3 porzioni al giorno di latte e derivati, nonostante non esista alcuna prova scientifica che la giustifichi. Come il Prof. Berrino ripete da tempo, almeno per quanto riguarda l'osteoporosi non c'è un solo studio al mondo che dimostri l'utilita di questi alimenti nel prevenirla e tantomeno curarla. Ed è dello stesso parere il dr. Walter Willett, uno dei più autorevoli ricercatori in assoluto nel campo della nutrizione, che ha liquidato con un laconico "Assolutamente ridicole" le stesse raccomandazioni formulate riguardo ai latticini dall'USDA (Dipartimento per l'Agricoltura degli Stati Uniti), scegliendo un'espressione che nella lingua originale suona spiritosa per il gioco di parole creato ("udderly", da "udder"= mammella, quasi uguale a "utterly", che significa "assolutamente, completamente").
Altro grossolano errore: equiparare cereali e patate

L'ultimo importante aggiornamento si è avuto a luglio 2016 in occasione della Prima Conferenza Mondiale sulla Dieta Mediterranea a Milano, ma anche in quest'occasione, nonostante le dichiarate finalità di adeguare la dieta alle nuove istanze ambientali, si è ribadita l'importanza imprescindibile della carne e dei cibi animali (il cui impatto negativo proprio sull'ambiente non è più in discussione), in quanto da sempre parte integrante della dieta mediterranea, come se i suoi benefici fossero dovuti a questi invece che alla loro scarsa presenza. Insomma si fa finta di cambiare per poi non cambiare (quasi) niente...

Ma allora che cosa si deve intendere per "dieta mediterranea"? 

Premesso che la definizione non può che essere vaga in quanto finalizzata ad orientare l'intera popolazione verso abitudini più sane (e non solo alimentari) e quindi tenendo conto delle sue diversità, non solo come necessità nutrizionali ma anche culturali, come abitudini e tradizioni, per coglierne in pieno lo spirito si potrebbe identificarla col modo parco di nutrirsi precedente l'era industriale tipico appunto delle popolazioni mediterranee, quando non c'erano pesticidi, metalli pesanti, antibiotici, coloranti, conservanti e OGM ad infestare gli alimenti, quando la dieta si basava su pasta, pane e altri cereali non raffinati e la carne compariva sulla tavola solo la domenica o addirittura solo in occasione delle festività, sostituita di norma dai legumi (ricordate l'appellativo di "carne dei poveri"?), mentre il consumo di altri cibi animali era anch'esso limitato; una dieta ricca di prodotti ortofrutticoli freschi a chilometro zero e stagionali e, dulcis in fundo (è proprio il caso di dire), quasi priva del micidiale zucchero bianco, moderno flagello che ormai si trova anche dove non ce lo si aspetterebbe. Insomma, per dirla in breve, la dieta del buonsenso nel contesto di uno stile di vita con meno "comodità" e più vicino alla natura: tutto il contrario di come si fa oggigiorno. Il dr. Berrino (geniale come sempre) usa un'espressione efficace nella sua ironia per rendere l'idea: "Se vostra nonna non lo conosceva non mangiatelo".

E' interessante (e qualcuno l'avrà già notato) come queste regole ricalchino pressoché fedelmente il modello proposto dalla macrobiotica ben prima che avvenisse la conferma della sua validità da parte dell'ufficialità. La dieta macrobiotica standard e i suoi princìpi sono infatti più vicini alla dieta mediterranea di quanto lo siano altri schemi dietetici e non è un caso che il Prof. Berrino faccia spesso riferimento alla filosofia di Ohsawa pur servendosi di argomentazioni rigorosamente scientifiche. Ed è proprio da questa prospettiva che è nata l'idea da parte de "La Grande Via", l'associazione culturale da lui fondata, di mettere a confronto macrobiotica e dieta mediterranea per coglierne  le differenze, più che i numerosi punti in comune, in una felice sintesi al fine di raggiungere una comprensione più completa del nostro complesso rapporto col cibo. Perciò è nato "Il Cibo della Gratitudine", il nuovo libro da pochissimo uscito che nel sottotitolo, "Guida alla Cucina Macro-Mediterranea", vuole evidenziare tale accostamento, ma di questo mi riservo di parlare la prossima volta.

Michele Nardella 

Il Cibo della Gratitudine Simonetta Barcella Il Cibo della Gratitudine
Guida alla cucina macromediterranea
Le Chef de "La Grande Via"

Compralo su il Giardino dei Libri

 

 

4 commenti:

  1. Hai trattato questo argomento con impeto di passione, la solita ironia e con dovizia di informazioni. Ti sono riconoscente per la tua attitudine alla divulgazione. Essendo in pieno accordo con quanto scrivi, mi complimento con me stessa. :)

    P.S. Sto leggendo "La Grande Via" è da leggere assolutamente.

    RispondiElimina
  2. Grazie, come sempre. A proposito del libro, sai che ho ricevuto un messaggio niente di meno che da Luigi Fontana in persona, co-autore assieme al più famoso Berrino de "La Grande Via"? Si lamentava del mancato riconoscimento dei suoi meriti nella realizzazione del libro, visto che tutte le attenzioni sono concentrate sul suo pur meritevole collega, che invece avrebbe contribuito, a suo dire, solo per il 20% del contenuto.

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Mi dispiace per Luigi Fontana. Ai lettori come me non sfugge niente.
      Comunicagli che ha tutto il mio riconoscimento, qualunque sia la percentuale di collaborazione.
      I co-autori del libro de "La Grande Via" hanno realizzato un libro che dovrebbe "vivere" in ogni libreria che si rispetti.
      Mi presento meglio:
      https://it.linkedin.com/in/nosari-giancarla-74693a31.
      Grazie a te Michele.

      Elimina
  3. Grazie. Ho scoperto che è un mio amico FB, gli passerò il messaggio.

    RispondiElimina