martedì 12 settembre 2017

Il cibo animale secondo la macrobiotica

Sul ruolo e le quantità di cibo animale nella dieta umana, come si sa, ci sono opinioni molto contrastanti ed estreme che hanno dato luogo a una confusione senza precedenti nel campo della scienza della nutrizione. Se a questo si aggiunge che i rappresentanti delle due principali fazioni non di rado sono animati da un atteggiamento fanatico e dogmatico, si capisce bene come sia difficile per i "non addetti ai lavori" trovare il bandolo della matassa. Mi è capitato però di imbattermi in  un articolo  reperibile su un sito macrobiotico che ho trovato interessante dandomi così lo spunto per provare (immodestamente) a dire qualcosa di nuovo e non scontato sull'annosa questione.

Ad innescarla una buona parte di responsabilità l'hanno avuta i cambiamenti alimentari avvenuti  da 50-100 anni a questa parte nelle società emancipate soprattutto occidentali, che hanno visto crescere in misura esponenziale i consumi di carni, latticini e uova, cui si attribuisce in buona parte, con consenso quasi unanime, il declino dello stato di salute della popolazione in generale cui abbiamo nel frattempo assistito.

"Ad ogni azione corrisponde una reazione uguale e contraria", recita un noto principio di fisica, ed ecco dunque comparire il veganismo, una ideologia basata sul rispetto di qualsiasi forma di vita animale (evitando l'uso, non soltanto di alimenti, ma anche di materiali ricavati da animali) nata ufficialmente nel 1944 ma che sta conoscendo una certa diffusione solo da pochi anni.

Sorvolando sull'aspetto etico del problema (su cui ci sarebbe ugualmente da discutere), per la maggioranza della gente, interessata quasi esclusivamente all'aspetto salutistico, la domanda che sorge automatica è se sia proprio e sempre necessario eliminare del tutto dalla dieta gli alimenti di origine animale.

Ed è infatti proprio il punto su cui  si focalizza il su citato articolo il quale, nell'apparente confusione riscontrata fra chi pratica la macrobiotica dichiarando di essere al contempo vegano ed altri che, appellandosi alla stessa filosofia, includono anche cibi animali, trova l'occasione per affrontare la questione.

Carl Ferrè, l'autore dell'articolo (già presidente della George Ohsawa Macrobiotic Foundation ed editore della rivista Macrobiotics Today nonchè autore di un paio di libri), esordisce col raccontare la storia di un suo amico che  dovette aggiungere pollo alla sua dieta per poter guarire da una rarissima malattia ossea recalcitrante a qualsiasi dieta "macrobiotica". Dopo essere stato seguito senza successo da due dei più noti consulenti macrobiotici, infatti, e vedendo la propria condizione peggiorare al punto di non poter più muovere la testa a causa di un blocco delle vertebre cervicali si decise a contravvenire alla "regola" macrobiotica accettando la raccomandazione di un medico specialista che gli suggerì di includere del pollo nella sua dieta in quanto - così si legge nell'articolo - nel pollo, e solo nel pollo, c'è una sostanza cruciale per guarire quella particolare condizione (per inciso, anch'io ho sentito di un caso analogo da una mia amica consulente macrobiotica).

La storia è emblematica di un equivoco, una incomprensione piuttosto comune dello spirito della macrobiotica, che è essenzialmente un approccio dialettico, non standardizzato e dunque flessibile, un approccio che non accetta regole ma  principi da comprendere e applicare di volta in volta con cognizione di causa.

La macrobiotica tuttavia è conosciuta come una dieta quasi interamente vegetale, che ammette nella sua versione standard solo un pò di pesce (e più avanti vedremo perchè), ma solo perché chi vi si avvicina lo fa a scopo curativo e, come si sa, siccome tutti noi abbiamo un passato di carnivorismo con eccessi di ogni genere di cibo animale, l'ultima cosa di cui abbiamo bisogno per sbarazzarci di malattie e acciacchi (se non ci si accontenta dei soliti stupidi rimedi sintomatici) è proprio il cibo animale, ed eliminarlo del tutto, almeno finchè la condizione non cambia, è proprio quello che ci vuole. Così a causa di questo equivoco succede spesso che anche chi mangia da anni in modo "sano ed equilibrato"  sia portato a restringere ulteriormente la dieta allorchè si presenti un qualsiasi disturbo, come se le malattie fossero sempre conseguenza di eccessi e mai di carenze. 

Dunque una prima cosa fondamentale da considerare è che le esigenze di un malato sono molto diverse da quelle dello stesso soggetto quando è in condizioni di salute. Sarà ovvio, sarà banale, ma non sempre lo si tiene nella dovuta considerazione.

La tendenza a scoraggiare il consumo di qualsiasi cibo animale, almeno per chi si avvicina alla macrobiotica, è nata negli anni '70 nel contesto della società USA caratterizzata dalla peggiore dieta che una qualsiasi popolazione al mondo abbia mai seguito, con percentuali record di cibo animale (solo gli Esquimesi hanno fatto di peggio), ma lo stesso Ohsawa (il "padre" della macrobiotica), pur facendo un discorso a 360° finalizzato  al conseguimento non solo della salute fisica ma anche dello sviluppo spirituale, non è mai stato categorico su questo punto. Il filosofo giapponese infatti proponeva un percorso da seguire partendo da una delle dieci diete (successivamente semplificate a sette) da lui definite ed elencate progressivamente dalla più permissiva alla più restrittiva (la famigerata dieta n. 7, che comprendeva solo riso integrale) per poter raggiungere il satori (Giudizio Supremo, secondo la dottrina taoista). 

Ebbene le diete di più basso livello comprendevano anche percentuali non trascurabili di cibi animali di ogni tipo, che si riducevano man mano che si saliva di livello, lasciando intendere che per elevarsi spiritualmente una dieta interamente vegetale fosse la più propizia, l'ideale, ma che allo stesso tempo bisognasse tener conto della propria condizione di partenza e dei suoi limiti al fine di effettuare il cambiamento desiderato con la gradualità necessaria.

In effetti, come dice Carlo Guglielmo nel suo insuperato "Il Grande Libro dell'Ecodieta" (pagg. 600-601), gli antichi monaci taoisti dèditi alla vita ascetica si allenavano per anni a restringere la loro dieta con l'ausilio di particolari tecniche psico-fisiche, cominciando solo dopo qualche anno con l'eliminare prima il cibo animale e proseguendo fino ad arrivare (per chi ci riusciva) a nutrirsi quasi di sola energia, ma non sono evidentemente cose da comuni mortali e non certo prive di rischi.

E infatti, a proposito di rischi, lo stesso Guglielmo (che non è certo l'ultimo arrivato, essendo un pioniere della macrobiotica in Italia) circa una decina d'anni fa prese l'originale iniziativa di proporre alla comunità macrobiotica internazionale  una revisione e una riflessione su quanto era stato fatto fino ad allora dal punto di vista divulgativo di questo stile di vita, proponendo fra l'altro una riabilitazione del cibo animale, per tanto tempo eccessivamente demonizzato (qui c'è il messaggio originale che consiglio vivamente di leggere fino alla fine se si conosce abbastanza l'inglese).

Un revisionismo rèsosi opportuno dopo i tanti, troppi macrobiotici (insegnanti e consulenti compresi) che, dopo i successi e gli entusiasmi iniziali, in tempi più recenti, e con immensa sorpresa di tutti, avevano dovuto anch'essi fare i conti col cancro o altre malattie più o meno gravi, finendo in molti casi col rimetterci la vita.

Certo ognuno è un caso a sè, ma il motivo più verosimile di questo paradosso è il fatto che per tanti anni si è fatto credere che alimenti molto usati in macrobiotica, come alghe e derivati della soja, fossero le uniche fonti vegetali di vitamina B12, notoriamente presente solo nei cibi animali, prima che si scoprisse che quella contenuta nei cibi suddetti è una varietà biologicamente inerte. Dunque l'aver confidato su fonti alternative fasulle in soggetti che consumavano poco o niente cibo animale potrebbe aver favorito la diffusione del cancro di cui la carenza di questa vitamina potrebbe essere la causa.

Infatti, contrariamente a una diffusa credenza, chi consuma solo vegetali non risulta granchè più protetto nei confronti del cancro rispetto agli onnivori. Questo è vero solo per alcuni tumori, ma se consideriamo il cancro nel suo complesso non si trova una schiacciante differenza (se ne parla dettagliatamente qui).

Ma la vitamina B12 non è l'unico punto critico nelle diete "verdi" perchè, come confermano le statistiche, anche le carenze di ferro, zinco, omega 3 e vitamina D risultano più frequenti fra i vegetariani, e ancora di più fra i vegani,  rispetto alla media. E se è vero che quest'ultima vitamina si può ricavare con l'esposizione alla luce solare, in pratica pochi vi si espongono a sufficienza e non è sempre possibile farlo. Dunque ricorrere agli integratori diventa praticamente un imperativo per chi opta per il verde a tutti i costi, il che è una implicita conferma dell'importanza del cibo animale.

Credo tuttavia che il nòcciolo della questione sfugga ai più, abituati come siamo a ragionare sempre per estremi e in astratto. Gli unici argomenti tirati in ballo quando si tocca questo punto sono infatti quelli strettamente biochimici che di per sè non dicono molto se non si considerano altri aspetti e la dieta nel suo insieme. Non si ha ben chiara l'importanza delle quantità ("La quantità cambia la qualità", ammoniva Ohsawa) e soprattutto delle proporzioni fra le varie categorie alimentari, nè il ruolo che ciascuna di esse riveste. Inoltre non si considerano mai le proprietà puramente energetiche degli alimenti nè tantomeno quanto queste siano adatte o compatibili con le esigenze di chi se ne nutre.

Da ciò si deduce che saper scegliere il cibo animale migliore e più adatto, saperlo equilibrare e consumarlo nelle giuste quantità è molto più importante che escluderlo del tutto a priori. E' per questo che i sostenitori della paleo-dieta (senza dubbio la più sensata fra tutte le diete iperproteiche, seppur non priva di difetti) raccomandano il consumo esclusivamente di animali e loro prodotti non di produzione industriale, nutriti ad erba e quindi senza ormoni e antibiotici, accompagnati comunque da molte verdure. Gli animali cresciuti allo stato selvatico presentano infatti un profilo nutrizionale ben diverso da quello di animali d'allevamento e ben più favorevole (con meno grassi saturi e più omega 3, ad esempio), un particolare di cui inspiegabilmente pochi tengono conto.

Sul fatto, poi, che questo sia stato il modello alimentare universale fino all'avvento dell'agricoltura e dell'allevamento, come sostengono appunto i fautori della paleo-dieta, ci sono legittimi dubbi, ma è certo che non esiste, nè è mai esistita al mondo una popolazione, una etnia che si sia sostenuta con una dieta integralmente vegetale, e le usanze non nascono mai per caso. Del resto antichissimi sistemi medici come l'Ayurveda (che significa "conoscenza della vita" ed è più che una semplice medicina, avendo come scopo primario la prevenzione e il benessere psico-fisico, requisito necessario per lo sviluppo spirituale) e la Medicina Tradizionale Cinese, pur raccomandando in genere diete largamente vegetali, non hanno mai avuto alcuna preclusione nei confronti del cibo animale. Tutto questo dovrebbe far riflettere chi crede di avere la verità assoluta in tasca o preferisce aderire ciecamente ad un dogma. 

Bisogna poi considerare che tutto è relativo e che anche che si nutre di soli vegetali può commettere madornali errori, come in effetti molto spesso accade. Lo fa notare anche il dr. Thomas Campbell (figlio del più famoso Colin) nel suo "Il Piano Campbell" (pag. 62) quando dice esplicitamente che consumare piccole quantità di cibo animale nel contesto di una dieta peraltro corretta è più salutare che consumare solo vegetali senza applicare però tutte le conoscenze scientifiche più aggiornate su una sana alimentazione, come ad esempio usare grassi idrogenati, zucchero, alimenti raffinati e prodotti  industriali spacciati per dietetici solo perchè reclamizzati come "vegan" o "gluten free" con tanto di etichetta in bella mostra.

E forse questo è stato lo spunto per Mark Hyman, forse il medico nutrizionista alternativo più famoso e preparato negli Stati Uniti, per confrontare la paleo-dieta con una dieta vegana fatta però con criterio, analizzando punti forti e punti deboli di entrambe. Esse hanno in effetti più punti in comune di quante differenze appaiano a prima vista, non fosse altro perchè entrambe evitano il cibo spazzatura e i latticini. Ed è interessante che le sue conclusioni vadano a favore di quella che lui definisce con un neologismo "pegan", cioè un modello dietetico che unisca i vantaggi di entrambe (ne ha parlato in un suo articolo da me citato nel post "Paleo, vegan... o pegan?") e che si scopre coincidere sostanzialmente (ma guarda caso!) con quello proposto dalla macrobiotica.

Alla luce di tutto questo vorrei sintetizzare quello che è secondo me il concetto fondamentale da afferrare, e che rappresenta anche il punto di vista della macrobiotica: il cibo vegetale costituisce la base alimentare, tutto il necessario che serve al nostro sostentamento, mentre quello animale ha un ruolo supplementare in quanto ci dà quel "di più" che in situazioni particolari, ma nient'affatto rare, ci può essere utile e perfino necessario. E' una peculiarità dovuta al fatto che il cibo animale contiene in forma concentrata e già pronti importanti nutrienti che in loro mancanza il nostro corpo sarebbe costretto a sintetizzare a partire da altre sostanze disponibili, operazione non sempre facile e scontata. 

Faccio notare che perfino un vegano DOC come Colin Campbell nel suo leggendario "The China Study" (pag. 40) è costretto ad ammettere che le proteine animali sono più facilmente assimilabili, e uno scienziato francese, Claude Aubert, ha scoperto che aggiungere anche solo il 2% di proteine animali ad un pasto contenente anche proteine vegetali incomplete, basta a migliorare l'utilizzazione di queste ultime. C'è poi da considerare che nessuno segue una dieta perfetta, perciò non si può mai essere del tutto sicuri di assumere tutto ciò di cui il proprio organismo necessita (ho già fatto l'esempio della vitamina D).

Tutto questo significa che in situazioni come gravidanza e allattamento, convalescenza, prima infanzia, malattie che comportano una perdita di sangue o di massa muscolare,  quando c'è bisogno di reintegrare, fortificare o riscaldare, insomma in tutti quei casi in cui il fabbisogno di certi nutrienti aumenta, un pò di cibo animale di qualità non può che aiutare. La facoltà di tonificare e riscaldare è una prerogativa del cibo animale che nessun cibo vegetale può uguagliare dovuta principalmente al loro potere termogenico (che non ha nulla a che vedere col contenuto calorico, con cui non va confuso), cioè il potere di generare calore. Questo è da attribuire alla loro ricchezza in proteine, ma l'effetto energetico complessivo non è imputabile a nessuna sostanza specifica, bensì alla combinazione e alla sinergia di tanti fattori, concetto  che in macrobiotica si suole esprimere sinteticamente classificando i cibi animali  nella categoria yang (contrattivi, dinamici). Ed è grazie a questi che popolazioni come gli Esquimesi hanno da sempre potuto sopravvivere in un habitat particolarmente rigido e ostile, cosa impossibile a realizzarsi con una dieta interamente vegetale.

Voglio infine soffermarmi su un ultimo aspetto che fa più di tutti la differenza tra la visione macrobiotica e quella di veganismo e vegetarianesimo, entrambi i quali escludono intere categorie di alimenti per motivi ideologici, e quindi senza tener conto delle profonde differenze in termini nutrizionali fra gli stessi.

Ancora una volta il principio guida universale yin-yang, che è alla base dell'equilibrio e dell'armonia in tutte le cose,  ci aiuta a capire che, se il cibo animale, essendo biologicamente a noi molto simile, non è l'ideale (i simili si respingono perchè non complementari), scegliendo le specie il più possibile a noi lontane biologicamente (e quindi più dissimili) e avendo cura di consumarne in proporzioni non superiori a 1/7 (pressapoco il 15%) di tutta la dieta (il rapporto 1 : 7 è una costante universale che si ritrova a tutti i livelli), non c'è motivo di preoccuparsi. Questo spiega perchè il pesce è il cibo animale più consigliato, il quale, essendo comparso 500 milioni di anni fa, quando l'evoluzione biologica era ancora ai primi stadi e la vita terrestre non era ancora comparsa, è quello filogeneticamente più lontano e quindi fra i cibi animali il più complementare. Da notare che la scienza è arrivata alla stessa conclusione, sia pure sulla base di altre considerazioni, confermando così le linee-guida della macrobiotica.

Concludo illustrando schematicamente le normali condizioni più favorevoli al consumo di cibo animale in modo che ognuno possa meglio regolarsi:

  • Soggetti di costituzione yin;
  • Soggetti di sesso maschile;
  • Se si svolge intensa attività fisica;
  • Se si vive in zone climatiche fredde;
  • Periodo freddo dell'anno;
  • Bambini e adolescenti;
Dieta macrobiotica standard                 
 Video del dr. Luigi Fontana, ricercatore e co-autore del libro "La Grande Via", in cui parla di diete vegane e vegetariane

Michele Nardella

2 commenti:

  1. Articolo molto interessante, attuale ed esauriente.
    Ai crudisti & C.:perchè rinunciare ad una bella zuppa di legumi?
    Alla pizza integrale con verdure e olive.
    Alle frittate di ceci.
    Ad un bel piatto di tagliatelle al mais con panna d’avena e funghi?
    Grazie Michele!

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  2. Grazie a te, Giancarla, anche se l'articolo si focalizza su un altro tema. Comunque anch'io non approvo il crudismo.

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