Ciò che segue si rifà ad un articolo da me proposto alla redazione de “La Gazzetta di Parma“ nell’ estate 1998 e pubblicato il 12 ottobre successivo.
Si tratta di notizie relative a uno di quegli argomenti scottanti di cui ben difficilmente si legge sui più comuni giornali, per non parlare della televisione, nonostante siano di interesse generale.
Le rare volte che ciò avviene, vi si dedica un trafiletto comunicando l’ essenziale nei termini più vaghi possibili.
Non mi spiego dunque come si sia deciso di pubblicare il mio articolo in versione integrale sul suddetto quotidiano, sia pure relegato nella rubrica delle lettere al giornale e non nelle notizie di cronaca, come sarebbe stato logico, visto che si trattava di una conferenza sul rapporto tra alimentazione e tumore al seno (che in Italia colpisce attualmente 40000 donne all’anno, mentre all’epoca si era ancora a quota 30000) tenutasi proprio nella città (Parma) dove ha sede il giornale.
Di questo si occupa infatti il cosiddetto “Progetto DIANA“, coordinato dal Prof. Franco Berrino, oncologo di fama internazionale, del quale dunque ho deciso di parlare in questo blog.
La cosa, partita dall’ Istituto Nazionale dei Tumori di Milano (in cui Berrino dirige il reparto di Epidemiologìa), risale al 1996, allorchè fu messo in atto il primo esperimento coinvolgente cinquanta volontarie (tutte donne in menopausa e ad alto rischio) e un gruppo di controllo altrettanto numeroso.
Esso era finalizzato alla verifica delle ipotesi che scaturivano da studi condotti in vari istituti di ricerca, come pure da dati forniti da ricerche epidemiologiche su scala mondiale, che indicavano chiaramente tre fattori di rischio per questa patologìa, tutti in qualche modo legati alla dieta.
Si voleva dunque indagare il ruolo della dieta e in che misura essa influisse su questi fattori, che si possono individuare nell’ alto tasso di insulina, nel sovrappeso e in alti livelli di ormoni sessuali liberi (androgeni ed estrogeni) presenti nel sangue.
Ed è proprio da “dieta” ed “androgeni” che si è preso spunto per la denominazione di questo progetto, per la quale è stata scelta la sigla DIANA (che fa riferimento anche alla dea protettrice delle donne che allattano).
Si è capito così che i suddetti fattori sono strettamente correlati fra loro, in quanto il sovrappeso è in larga misura una conseguenza dell’ eccesso di insulina (che favorisce la sintesi dei grassi e pertanto ha effetto anabolizzante).
La stessa insulina, inoltre, stimola la sintesi di androgeni e allo stesso tempo inibisce la produzione di una proteina plasmatica conosciuta con l’ acronimo SHBG (Sex Hormone Binding Globulin), che ha un ruolo importante nella funzionalità di questi ormoni, in quanto, legandosi ad essi (come indica la stessa denominazione, che tradotta significa: “globulina che lega l’ ormone sessuale”), li tiene sotto controllo rendendoli inattivi.
A questo punto diventa chiaro il ruolo cruciale dell’ insulina, e di conseguenza l’ importanza di capire quali siano i fattori che tendono ad innalzarla, e quali invece che la tengono a freno.
Nella prima categorìa è emersa la responsabilità proprio di quelli che maggiormente contraddistinguono il modello alimentare moderno, basato notoriamente su zuccheri semplici raffinati, cereali raffinati, grassi e proteine animali.
Sul ruolo degli zuccheri nell’ instaurare disordini metabolici e ormonali invito i lettori a leggere il mio articolo “Indice insulinico, questo sconosciuto“, pubblicato su www.Autodifesalimentare.it/blog, dove ci sono notizie che probabilmente non troverete da nessun’altra parte.
Qui voglio solo ricordare che, se per tanto tempo, parlando di iperglicemìa e delle patologìe ad essa correlate, si è sempre puntato l’ indice sui “carboidrati”, stigmatizzandoli e facendo di tutta l’ erba un fascio, ora, anche grazie a questi studi, è definitivamente appurato (qualora non fosse già chiaro ) che la qualità degli stessi fa la differenza determinante : sono infatti quelli raffinati e quelli semplici i maggiori responsabili.
Sul ruolo degli zuccheri nell’ instaurare disordini metabolici e ormonali invito i lettori a leggere il mio articolo “Indice insulinico, questo sconosciuto“, pubblicato su www.Autodifesalimentare.it/blog, dove ci sono notizie che probabilmente non troverete da nessun’altra parte.
Qui voglio solo ricordare che, se per tanto tempo, parlando di iperglicemìa e delle patologìe ad essa correlate, si è sempre puntato l’ indice sui “carboidrati”, stigmatizzandoli e facendo di tutta l’ erba un fascio, ora, anche grazie a questi studi, è definitivamente appurato (qualora non fosse già chiaro ) che la qualità degli stessi fa la differenza determinante : sono infatti quelli raffinati e quelli semplici i maggiori responsabili.
La presenza di fibre negli alimenti integrali rallenta infatti l’ assorbimento dei tanto famigerati carboidrati, che non sono dunque responsabili di per sè dei problemi loro attribuiti : “la pasta fa ingrassare“, “il pane fa ingrassare” sono solo luoghi comuni.
Sostituire dunque zucchero bianco, farine “O” e “OO”, pane bianco, pasta bianca, insomma tutta quella paccottiglia senza più traccia di vita con alimenti integrali, cioè completi, come ce li produce madre natura, e privilegiare i carboidrati complessi (cioè amidi, quali si ritrovano nei cereali) è una tappa fondamentale e ineludibile se si vuole fare vera prevenzione.
E’ opportuno tuttavia precisare che non sono da considerare dieteticamente accettabili prodotti ottenuti con farine raffinate cui è stata aggiunta della crusca, e perciò spacciati per “integrali”. Questi ultimi, infatti, come mette giustamenta in evidenza il libro ”La Rivoluzione degli Integrali Buoni“ sembrano non avere gli stessi vantaggi dei veri integrali.
Oltre alle fibre insolubili, che sono quelle appena citate, ci sono poi anche quelle solubili, cioè sostanze viscose e gelatinose, come le mucillagini, che contribuiscono sensibilmente al rallentamento dell’assorbimento glucidico e che quindi svolgono un ruolo protettivo.
Le possiamo trovare soprattutto nell’ avena (è noto l’ utilizzo della crusca d’ avena nei casi di iperlipidemia e iperglicemia), come pure in orzo, lenticchie e fagioli.
Una menzione particolare poi la meritano i fitoestrogeni, cioè sostanze simil-ormonali che, grazie alla somiglianza nella loro struttura chimica agli ormoni sessuali che si vogliono tenere a bada, agiscono nei loro confronti con meccanismo competitivo, senza però condividerne gli effetti fisiologici, stimolando al contempo anche la sintesi della suddetta proteina SHBG. In altre parole, rappresentano una varietà inerte rispetto ai veri ormoni sessuali, ai quali tendono a sostituirsi, limitandone così gli effetti.
Ne sono ricchi tutti i vegetali della famiglia delle crucifere (tutti i tipi di cavolo, broccoli, rapa, ravanello,crescione, rucola, senape) e poi soja e altri legumi, come pure cereali, sempre che siano integrali.
Dato il pieno successo del primo esperimento, da cui si è potuto riscontrare una notevole riduzione di tutti i fattori di rischio, si è pensato di ripeterlo altre volte allo scopo di dare una eventuale conferma a quei risultati, ma anche per avere informazioni più dettagliate. E così sono state reclutate altre donne in numero maggiore, questa volta però con già un’ esperienza di tumore al seno, per verificare quanto la dieta potesse essere efficace anche nei confronti di una recidiva.
Si è giunti così alla quinta edizione (tutt’ora in corso) che vede impegnate circa duemila donne, tutte operate di tumore al seno negli ultimi cinque anni, monitorate in undici centri di reclutamento in tutt’ Italia, e precisamente a:
Milano, Busto Arsizio (Varese), Asti, Biella, S. Pietro in Cerro (Piacenza), Napoli, Avezzano (L’Aquila), Pescara, Rionero in Vulture (Potenza), Palermo, Castel di Tora (Rieti).
Fin qui si tratta di notizie che più o meno, sia pure con un pò di pazienza e molta determinazione, si possono reperire su internet o su materiale cartaceo, ma ci sono alcune considerazioni che generalmente sfuggono nelle notizie di cronaca, considerazioni su cui non ci si sofferma a riflettere, e che mi sembrano invece gli aspetti più interessanti di questa serie di esperimenti che non ha certamente precedenti nella ricerca scientifica.
Quest’ultima infatti è poco interessata alla prevenzione, quella vera, anche perchè ricerche come queste sono parecchio impegnative, soprattutto per la loro durata, ma non c’è dubbio che rappresentano l’unica via che ci dia una visione più chiara e completa su certe problematiche.
Questo perchè studiare modelli alimentari in rapporto al loro contesto sociale e ambientale, anzicchè singoli alimenti o molecole di nutrienti in esperimenti di laboratorio, ci permette di avere un riscontro più realistico e di capire meglio certe correlazioni, e soprattutto, ciò che più importa, ci fornisce delle indicazioni pratiche su come orientarci nelle nostre scelte quotidiane.
Ciò che si evince da questi studi, infatti, è che non sono soltanto i singoli nutrienti a determinare certi benefici, ma anche, e forse soprattutto, la sinergìa che si realizza con altre sostanze ed alimenti presenti nella dieta, o addirittura nello stesso pasto.
Per esempio, incrementare il consumo di cereali integrali, come viene raccomandato ormai un pò da tutti gli esperti, non necessariamente porterà vantaggi se al contempo non si riduce sensibilmente il consumo di cibo animale, e magari anche di sale.
E ancora, uno dei motivi per cui il latte non sembra essere un alimento ideale per noi umani adulti è che la sua assunzione assieme ad altri alimenti interferisce con l’assorbimento degli antiossidanti.
Insomma correggere la propria alimentazione non è questione di “ridurre un pò di questo“ o “aggiungere un pò di quello” o prendere qualche integratore, come semplicisticamente si è sempre pensato e si continua a raccomandare, bensì di riesaminare la dieta nella sua globalità per conferirle un nuovo equilibrio generale, il che significa avvicinarsi il più possibile al modello estrapolato dagli studi suddetti.
Tale modello ricalca peraltro le indicazioni fornite dal Fondo Mondiale per la Ricerca sul Cancro (WCRF: World Cancer Research Fund), cui hanno contribuito più di 150 fra ricercatori, epidemiologi e biologi di circa 50 centri oncologici di tutto il mondo tra i più prestigiosi (e uno di questi è appunto l’ Istituto Nazionale Tumori di Milano, che ha gestito la sezione dei tumori alla mammella, all’ovaio e alla cervice uterina).
Per maggiori informazioni utilizzare il seguente link:
E di tutto questo si parla anche in un libro scritto proprio da chi ha contribuito a questo Progetto DIANA, e cioè la ricercatrice Anna Villarini dell’ Istituto Tumori di Milano e lo chef Giovanni Allegro, che da anni tiene corsi di alimentazione sana alla Cascina Rosa, il laboratorio, ossia la scuola di cucina, del suddetto istituto.
Il libro, come il titolo lascia intuire (”Prevenire i Tumori Mangiando con Gusto“), non è però solo teoria, contenendo anche tante ricette molto utili per chi vuole disporre subito di esempi pratici da mettere in atto.
Prevenire i Tumori Mangiando con GustoA tavola con DianaAnna Villarini, Giovanni AllegroCompralo su il Giardino dei Libri |
Un altro aspetto importante di questo nuovo tipo di approccio è che lo scopo principale di tutto ciò non è tanto la riduzione dei rischi di una specifica patologìa, quanto il benessere complessivo della persona, che va ben oltre i dati di laboratorio e le statistiche relative.
Per la scienza ufficiale, se un dato fattore non dimostra una chiara correlazione (nel bene o nel male) con una determinata patologìa, esso non viene considerato e il discorso è chiuso. Ma non si tiene generalmente conto che quello stesso fattore può avere implicazioni e rischi, o benefici, in altre aree, perchè nella visione frammentaria che i medici hanno della realtà non si valuta mai la salute a 360 gradi.
Ad esempio, quando si danno le indicazioni per fronteggiare problemi di sovrappeso, per quanto riguarda i carboidrati, ci si limita a raccomandare di ridurli, ma non si tiene conto quasi mai dell’importanza che questi siano integrali, e non raffinati, forse perchè questo accorgimento da solo non è in grado di risolvere i casi più severi di obesità.
Ma la maggior parte dei soggetti riscontrerebbe sicuramente qualche calo ponderale, anche senza modificare nient’altro, senza contare che una tale scelta avrebbe diverse altre ripercussioni positive, e perciò sarebbe comunque da incoraggiare.
Insomma, si tende a confondere ciò che è insufficiente, seppur necessario, con ciò che è inutile.
Da questi studi DIANA è invece emerso chiaramente che l’approccio olistico seguito è quello vincente, che con una fava (… e tanti cereali e verdure) è possibile prendere non due, ma un bel pò di piccioni.
Infatti i risultati prodotti dal modello dietetico seguito dalle partecipanti vanno decisamente oltre l’obbiettivo che ci si era prefisso all’inizio: non si sono soltanto ridotti sensibilmente i principali fattori di rischio di tumore al seno (ma il discorso vale, sia pure in misura diversa, per qualsiasi altro tipo di tumore), dato che si sono altresì riscontrati una riduzione del colesterolo e dei trigliceridi nel sangue, come pure della glicemìa e della pressione in soggetti ipertesi, un apprezzabile calo ponderale senza dover contare le calorìe (pur consumando normali razioni di cibo, e quindi senza patire la fame), migliore regolarità intestinale, miglioramento nella risposta insulinica, miglioramento dell‘umore e dell’autostima e, udite udite, incremento della densità ossea, “nonostante” la drastica riduzione del consumo di latticini.
Il che significa, tradotto in parole povere, maggiore protezione nei confronti dell’osteoporosi, a ulteriore testimonianza della incompetenza e dell’ottusità dei medici e dietologi tradizionali (la larga maggioranza), che a riguardo continuano a ripetere ad libitum, come un disco danneggiato che reitera automaticamente il passaggio precedente, la solita solfa demenziale (vedi mio precedente articolo “Latte, il mito di pasta frolla“, oppure guarda il video qui in basso).
Inutile dire, a questo punto, che un quadro generale così complesso non potrebbe essere ottenuto con un semplice approccio farmacologico, che non può evidentemente sostituirsi a una dieta che comprende i cibi giusti nelle giuste proporzioni.
Chi volesse aderire al Progetto DIANA può farne richiesta al seguente indirizzo:
oppure telefonare dal lunedì al venerdì (ore 10-13 ; 15-17)a questo numero:
02/23902868
Michele Nardella
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