Per chi è sufficientemente addentrato nel campo delle cure alternative e della prevenzione non si tratta di una vera novità. Avevo infatti già parlato a suo tempo del rivoluzionario approccio al diabete del dr. Gabriel Cousens, ma ricevere conferme dal mondo della scienza non può ovviamente che ribadire e rendere più credibile ciò che è ancora considerato un' eresia a livello ufficiale, e cioè l' idea del diabete come condizione non solo del tutto prevenibile, ma perfino reversibile. Una tesi tanto coraggiosa in quanto va a sfidare una convinzione radicata che regna incontrastata da sempre nell' ambiente accademico. Un buon esempio fra i tanti di come un dogma, un pregiudizio culturale possa condizionare la direzione della ricerca, almeno a livello istituzionale, sempre orientata in senso interventistico-farmacologico e raramente nell' individuare le vere cause, l' unica strada per poter attuare una vera politica di prevenzione (cosa che presuppone una visione olistica del problema) .
L' importanza della notizia e la circostanza che la vede neanche tanto nuova rende ancora più stridente il contrasto con il tipo di informazioni e le strategìe di intervento terapeutico di cui si è parlato, combinazione, proprio pochi giorni fa alla consueta annuale Giornata Mondiale del Diabete, ennesima occasione mancata per una campagna nata nel 1991 (ma in Italia viene organizzata dal 2002) con lo scopo di sensibilizzare su quello che è ormai diventato un fardello sociale.
E basta soffermarsi sull' ulteriore incremento che questa patologia, assieme ad altre condizioni strettamente correlate, ha visto a partire da quell' anno fino ad oggi, nonostante gli "sforzi" di chi è impegnato in questa iniziativa, per rendersi conto dell' (in)efficacia della campagna (i dati in mio possesso parlano di 30 milioni di malati di diabete in tutto il mondo nel 1985, saliti a 285 milioni nel 2010!).
E come potrebbe essere diversamente? Basta dare un' occhiata ai contenuti anacronistici del sito apposito attraverso i seguenti link: I numeri del diabete , Curare il diabete, Le 'favole' del diabete: alimentazione, Le 'favole' del diabete: le cause, per accorgersi dell' inadeguatezza e dell' incompetenza di chi pretende di dare indicazioni realmente utili, se messi a confronto col messaggio esplicito che alcuni medici e ricercatori all' avanguardia stanno divulgando. Se poi si scopre quali sponsor ci sono dietro, ogni eventuale dubbio residuo sulle vere finalità della manifestazione scompare.
Ma veniamo dunque a queste scoperte che rischiano di mettere in crisi il sistema sanitario mondiale: a parlarcene è il dr. Neal Barnard, con ogni probabilità il medico-ricercatore più famoso e autorevole in questo campo, di cui è da poco disponibile in Italia il suo ultimo libro "Curare il Diabete senza Farmaci" (precisamente il diciassettesimo di una serie dedicata alla salute naturale). Esso va così ad aggiungersi ad un altro libro di contenuto assai simile uscito un paio di anni fa, "Guarire il Diabete in 3 Settimane" di Robert Young e Matt Traverso.
Si sapeva da tempo, o quantomeno lo si sospettava fortemente, che i recettori per i vari ormoni e altre sostanze chimiche di cui le cellule sono dotate sulla loro membrana esterna possono essere disturbati nella loro funzione dai grassi del sangue che vi si depositano. Sembra, ad esempio, che tale meccanismo sia alla base del comportamento anomalo dei linfociti T, che finiscono col non riconoscere le sostanze estranee con cui vengono a contatto attraverso i loro antigeni, col risultato di un indebolimento dell' immunità acquisita, condizione che a sua volta può evolvere facilmente in stati allergici.
Ebbene, dagli studi condotti dal gruppo di ricerca del dr. Barnard e coadiuvati da altri ricercatori è emerso che una situazione del genere si ritrova alla base del diabete tipo 2 (quello cosiddetto "non insulino-dipendente") e spiegherebbe il noto fenomeno della resistenza insulinica. Come lo stesso dr. Barnard illustra nel suo video qui in basso (sottotitolato in italiano), sono i grassi che, se in eccesso, tendono ad accumularsi sui recettori cellulari per l' insulina, rendendo il compito di quest' ultima difficile, se non impossibile, da svolgere.
Sono dunque chiamati in causa in primo luogo gli eccessi che contraddistinguono le diete moderne notoriamente troppo ricche di cibi animali, coi loro grassi saturi, e di grassi di ogni genere (con particolare riguardo a quelli idrogenati industriali) usati a iosa come condimento praticamente in ogni pietanza.
Vorrei però precisare che in questo fenomeno non sono implicati solo i grassi di provenienza alimentare, ma anche gli acidi grassi endogeni liberati dal fegato per effetto dell' insulina stessa. Tale ormone infatti, quando è presente per troppo tempo nel sangue in quantità superiori alla norma (a causa dei picchi glicemici e di altri estremi tipici della dieta comune), sortisce un effetto opposto a quello fisiologico, che in questo caso è quello anabolico di accumulare acidi grassi nelle cellule di organi e tessuto adiposo. Almeno è quello che dice Carlo Guglielmo nel suo "Il Grande Libro dell' Ecodieta" a pag. 135 (un libro unico, che tratta la materia della nutrizione a 360°). E lo stesso aggiunge che ci sarebbe anche la glucosamina a contribuire a bloccare i recettori. Essa si formerebbe a partire dal glucosio quando questo è presente nel sangue in concentrazioni troppo elevate per lungo tempo (se ne parla in questa ricerca).
Insomma, come si può vedere, siamo ben lontani dalle ingenuità che hanno caratterizzato gli studi sul diabete per tanto tempo, sempre focalizzati unicamente sul ruolo degli zuccheri e dell' insulina, generando un timore infondato nei confronti di tutti i carboidrati. Come ribadisce Neal Barnard, non serve demonizzare indiscriminatamente tutti i carboidrati, ma scegliere quelli più adatti alla nostra fisiologia nell' ambito di una dieta per altri versi equilibrata, con pochi grassi e vegetale. Questo dovrebbe (il condizionale è d' obbligo, visto che con gli ottusi dogmatici che non vogliono riconoscere di essere dalla parte del torto non c'è argomento che tenga) zittire una volta per sempre tutti coloro che ancora si ostinano a decantare e promuovere le famigerate diete a basso contenuto zuccherino e amidaceo.
Questa nuova visione dell' approccio dietetico, assieme ai risultati sperimentali di cui il medico americano parla, porta anche a demolire due diffusi miti su questa malattia, entrambi retaggio di una concezione superata della biologia: quello della necessità di ridurre e controllare le calorie e quello della sua natura ereditaria che condannerebbe a vita chi ne soffre.
Devo precisare che il titolo del libro in questione potrebbe trarre in inganno. In realtà in esso non si dice di eliminare i farmaci da parte di chi decide di seguire il programma dietetico indicato, ma di ridurli gradualmente fino all' eliminazione, allorchè tutti i sintomi della malattia dovessero scomparire. Ma l' autore è onesto nel non dare garanzie a nessuno, perchè ognuno è diverso e reagisce in modi e tempi diversi, tuttavia tutti potranno in qualche modo avvantaggiarsi del nuovo regime alimentare se ci metteranno l' impegno necessario. Questo vale a maggior ragione per i soggetti prediabetici (la maggior parte della popolazione, benchè ignara), che potranno così attuare la migliore prevenzione possibile e persino per i malati di diabete di tipo 1 (quello cosiddetto giovanile) che, nonostante la necessità di dover assumere insulina a vita (perchè non la producono), potranno ridurre i disagi che questa condizione comporta e avere una vita migliore, come il medico statunitense tiene a specificare.
Come già detto, il dr. Barnard non è l' unico portavoce di questo approccio rivoluzionario: oltre agli esempi già citati in questo post è doveroso menzionare Mario Pianesi, uno dei pionieri della macrobiotica in Italia, che anni fa ha condotto un eccezionale esperimento mettendo a confronto i risultati di due gruppi di diabetici ottenuti facendo seguire ad un gruppo il regime macrobiotico da lui indicato, e all' altro quello standard ufficiale per i diabetici. Già dopo qualche settimana i miglioramenti del gruppo macrobiotico relativi a tutti i parametri si rivelarono nettamente migliori del gruppo di controllo, al punto che molti pazienti potettero ridurre o eliminare i farmaci, contrariamente ai partecipanti dell' altro gruppo (per i particolari leggere qui). Questo risultato è valso il conferimento a Pianesi del Sigillo dell' Università di Urbino, un riconoscimento ottenuto per meriti scientifici e umanitari, come si legge qui.
E un' altra citazione merita senz' altro anche l' esperimento del Kushi Institute del Massachusetts realizzato in collaborazione con una equipe medica nel 2009 quando a un gruppo di 13 pazienti diabetici fu proposto di provare la dieta macrobiotica per controllarne gli effetti sulla loro malattia. Anche in questo caso i risultati furono rimarchevoli, con i malati che già dopo la prima settimana potettero ridurre i farmaci e in qualche caso persino eliminarli, mentre cominciavano a sperimentare un nuovo benessere generale (qui se ne trova una testimonianza).
Resta da chiedersi quando saranno condotti esperimenti per monitorare tutti i risultati clinici sul lungo periodo. Sarebbe interessante confrontare così i diversi approcci, anche per quanto riguarda la dipendenza dai farmaci.
Michele Nardella
L' importanza della notizia e la circostanza che la vede neanche tanto nuova rende ancora più stridente il contrasto con il tipo di informazioni e le strategìe di intervento terapeutico di cui si è parlato, combinazione, proprio pochi giorni fa alla consueta annuale Giornata Mondiale del Diabete, ennesima occasione mancata per una campagna nata nel 1991 (ma in Italia viene organizzata dal 2002) con lo scopo di sensibilizzare su quello che è ormai diventato un fardello sociale.
E basta soffermarsi sull' ulteriore incremento che questa patologia, assieme ad altre condizioni strettamente correlate, ha visto a partire da quell' anno fino ad oggi, nonostante gli "sforzi" di chi è impegnato in questa iniziativa, per rendersi conto dell' (in)efficacia della campagna (i dati in mio possesso parlano di 30 milioni di malati di diabete in tutto il mondo nel 1985, saliti a 285 milioni nel 2010!).
E come potrebbe essere diversamente? Basta dare un' occhiata ai contenuti anacronistici del sito apposito attraverso i seguenti link: I numeri del diabete , Curare il diabete, Le 'favole' del diabete: alimentazione, Le 'favole' del diabete: le cause, per accorgersi dell' inadeguatezza e dell' incompetenza di chi pretende di dare indicazioni realmente utili, se messi a confronto col messaggio esplicito che alcuni medici e ricercatori all' avanguardia stanno divulgando. Se poi si scopre quali sponsor ci sono dietro, ogni eventuale dubbio residuo sulle vere finalità della manifestazione scompare.
Ma veniamo dunque a queste scoperte che rischiano di mettere in crisi il sistema sanitario mondiale: a parlarcene è il dr. Neal Barnard, con ogni probabilità il medico-ricercatore più famoso e autorevole in questo campo, di cui è da poco disponibile in Italia il suo ultimo libro "Curare il Diabete senza Farmaci" (precisamente il diciassettesimo di una serie dedicata alla salute naturale). Esso va così ad aggiungersi ad un altro libro di contenuto assai simile uscito un paio di anni fa, "Guarire il Diabete in 3 Settimane" di Robert Young e Matt Traverso.
Si sapeva da tempo, o quantomeno lo si sospettava fortemente, che i recettori per i vari ormoni e altre sostanze chimiche di cui le cellule sono dotate sulla loro membrana esterna possono essere disturbati nella loro funzione dai grassi del sangue che vi si depositano. Sembra, ad esempio, che tale meccanismo sia alla base del comportamento anomalo dei linfociti T, che finiscono col non riconoscere le sostanze estranee con cui vengono a contatto attraverso i loro antigeni, col risultato di un indebolimento dell' immunità acquisita, condizione che a sua volta può evolvere facilmente in stati allergici.
Ebbene, dagli studi condotti dal gruppo di ricerca del dr. Barnard e coadiuvati da altri ricercatori è emerso che una situazione del genere si ritrova alla base del diabete tipo 2 (quello cosiddetto "non insulino-dipendente") e spiegherebbe il noto fenomeno della resistenza insulinica. Come lo stesso dr. Barnard illustra nel suo video qui in basso (sottotitolato in italiano), sono i grassi che, se in eccesso, tendono ad accumularsi sui recettori cellulari per l' insulina, rendendo il compito di quest' ultima difficile, se non impossibile, da svolgere.
Sono dunque chiamati in causa in primo luogo gli eccessi che contraddistinguono le diete moderne notoriamente troppo ricche di cibi animali, coi loro grassi saturi, e di grassi di ogni genere (con particolare riguardo a quelli idrogenati industriali) usati a iosa come condimento praticamente in ogni pietanza.
Vorrei però precisare che in questo fenomeno non sono implicati solo i grassi di provenienza alimentare, ma anche gli acidi grassi endogeni liberati dal fegato per effetto dell' insulina stessa. Tale ormone infatti, quando è presente per troppo tempo nel sangue in quantità superiori alla norma (a causa dei picchi glicemici e di altri estremi tipici della dieta comune), sortisce un effetto opposto a quello fisiologico, che in questo caso è quello anabolico di accumulare acidi grassi nelle cellule di organi e tessuto adiposo. Almeno è quello che dice Carlo Guglielmo nel suo "Il Grande Libro dell' Ecodieta" a pag. 135 (un libro unico, che tratta la materia della nutrizione a 360°). E lo stesso aggiunge che ci sarebbe anche la glucosamina a contribuire a bloccare i recettori. Essa si formerebbe a partire dal glucosio quando questo è presente nel sangue in concentrazioni troppo elevate per lungo tempo (se ne parla in questa ricerca).
Insomma, come si può vedere, siamo ben lontani dalle ingenuità che hanno caratterizzato gli studi sul diabete per tanto tempo, sempre focalizzati unicamente sul ruolo degli zuccheri e dell' insulina, generando un timore infondato nei confronti di tutti i carboidrati. Come ribadisce Neal Barnard, non serve demonizzare indiscriminatamente tutti i carboidrati, ma scegliere quelli più adatti alla nostra fisiologia nell' ambito di una dieta per altri versi equilibrata, con pochi grassi e vegetale. Questo dovrebbe (il condizionale è d' obbligo, visto che con gli ottusi dogmatici che non vogliono riconoscere di essere dalla parte del torto non c'è argomento che tenga) zittire una volta per sempre tutti coloro che ancora si ostinano a decantare e promuovere le famigerate diete a basso contenuto zuccherino e amidaceo.
Questa nuova visione dell' approccio dietetico, assieme ai risultati sperimentali di cui il medico americano parla, porta anche a demolire due diffusi miti su questa malattia, entrambi retaggio di una concezione superata della biologia: quello della necessità di ridurre e controllare le calorie e quello della sua natura ereditaria che condannerebbe a vita chi ne soffre.
Devo precisare che il titolo del libro in questione potrebbe trarre in inganno. In realtà in esso non si dice di eliminare i farmaci da parte di chi decide di seguire il programma dietetico indicato, ma di ridurli gradualmente fino all' eliminazione, allorchè tutti i sintomi della malattia dovessero scomparire. Ma l' autore è onesto nel non dare garanzie a nessuno, perchè ognuno è diverso e reagisce in modi e tempi diversi, tuttavia tutti potranno in qualche modo avvantaggiarsi del nuovo regime alimentare se ci metteranno l' impegno necessario. Questo vale a maggior ragione per i soggetti prediabetici (la maggior parte della popolazione, benchè ignara), che potranno così attuare la migliore prevenzione possibile e persino per i malati di diabete di tipo 1 (quello cosiddetto giovanile) che, nonostante la necessità di dover assumere insulina a vita (perchè non la producono), potranno ridurre i disagi che questa condizione comporta e avere una vita migliore, come il medico statunitense tiene a specificare.
Come già detto, il dr. Barnard non è l' unico portavoce di questo approccio rivoluzionario: oltre agli esempi già citati in questo post è doveroso menzionare Mario Pianesi, uno dei pionieri della macrobiotica in Italia, che anni fa ha condotto un eccezionale esperimento mettendo a confronto i risultati di due gruppi di diabetici ottenuti facendo seguire ad un gruppo il regime macrobiotico da lui indicato, e all' altro quello standard ufficiale per i diabetici. Già dopo qualche settimana i miglioramenti del gruppo macrobiotico relativi a tutti i parametri si rivelarono nettamente migliori del gruppo di controllo, al punto che molti pazienti potettero ridurre o eliminare i farmaci, contrariamente ai partecipanti dell' altro gruppo (per i particolari leggere qui). Questo risultato è valso il conferimento a Pianesi del Sigillo dell' Università di Urbino, un riconoscimento ottenuto per meriti scientifici e umanitari, come si legge qui.
E un' altra citazione merita senz' altro anche l' esperimento del Kushi Institute del Massachusetts realizzato in collaborazione con una equipe medica nel 2009 quando a un gruppo di 13 pazienti diabetici fu proposto di provare la dieta macrobiotica per controllarne gli effetti sulla loro malattia. Anche in questo caso i risultati furono rimarchevoli, con i malati che già dopo la prima settimana potettero ridurre i farmaci e in qualche caso persino eliminarli, mentre cominciavano a sperimentare un nuovo benessere generale (qui se ne trova una testimonianza).
Resta da chiedersi quando saranno condotti esperimenti per monitorare tutti i risultati clinici sul lungo periodo. Sarebbe interessante confrontare così i diversi approcci, anche per quanto riguarda la dipendenza dai farmaci.
Michele Nardella
Curare il Diabete Senza Farmaci Un metodo scientifico per aiutare il nostro corpo a prevenire il diabete Neal D. Barnard Compralo su il Giardino dei Libri |
Articolo eccellente, soprattutto per la dovizia di notizie filmato e bibliografia che tu regali con magnanimità. Divulgherò. Grazie per il tuo incessante impegno. Buon pomeriggio.
RispondiEliminaGrazie a te, cara Giancarla, sempre puntuale nel commentare i miei post.
EliminaA dire il vero avrei potuto dire altro, ma, anche per essere in linea con le raccomandazioni implicite nell' articolo) non ho voluto mettere troppa carne al fuoco.
Ottimo articolo ?pn=1586
RispondiEliminaGrazie.
RispondiEliminaMi sembra doveroso fare una distinzione appunto tra diabete tipo 1 e tipo 2. Nel diabete tipo 2 la cura è facile proprio perchè dall'esame specifico risulta sempre un insulinemia giusto cioè il pancreas funziona correttamente ma l'insulina in questo caso non arriva a smaltire gli zuccheri perchè il corpo è solamente intossicato. Quando disintossichiamo il corpo con una dieta appropriata o terapie di purificazione, si può notare che il diabete non è più un problema. Se poi consideriamo che oramai si fanno diagnosi di diabete con valori poco superiori alla norma ed è stato scientificamente provato che l'ossidazione o glicazione avviene oltre il valore di 180 e non prima......allora vuol dire che tanti casi di diabete non sono da considerarsi un problema ma solo legati alla paura del medico. Nel tipo 1 invece cioè il soggetto insulino dipendente quello che succede è che il pancreas non funziona più ma possiamo stimolarlo con delle piante amare e stando attenti con la dieta possiamo far ridurre notevolmente l'insulina al paziente. naturalmente i soggetti magri dovranno fare molta attenzione ed essere seguiti da un professionista serio perchè il rischio di dimagrimento e dietro l'angolo. I testi che parlano quindi di cura del diabete non mi stupiscono se si parla di diabete del tipo 2. La medicina Ayurvedica ne parla già da migliaia di anni con una chiarezza straordinaria e con risultati che sono stati testati dal tempo.
RispondiEliminaCerto, sig. Pitassi, ciò che dice non è in contrasto con quello da me affermato nell' articolo. A me premeva soprattutto mettere in evidenza la distanza che ancora c'è tra il mondo accademico dell' ufficialità e quello della medicina alternativa e denunciare quella buffonata della Giornata Mondiale, dove si continua a diffondere miti superati e mezze verità. E poi, per dirla tutta, anche con gli approcci alternativi non è sempre così semplice e non è proprio una passeggiata gestire una patologia cronico-degenerativa come il diabete: bisogna seguire diete ferree appropriate che non tutti hanno la pazienza e la disponibilità a seguire.
RispondiEliminaConcordo pienamente e la ringrazio dell'articolo da Lei pubblicato e della possibilità di replica.
RispondiEliminaDi niente, si figuri!
RispondiEliminaOttimo articolo. C'è da precisare che Pianesi ha effettuato diverse sperimentazioni all'estero (tra cui sicuramente Cuba e Costa d'Avorio) ottenendo non un miglioramento dei parametri diabetici, ma la completa guarigione.
RispondiEliminaInfatti, mentre presso l'Università Il Campus di Roma il periodo di sperimentazione è stato imposto di soli 21 giorni, all'estero è stato completato in 60 giorni con dieta MaPi 2.
Grazie Francesco per la precisazione.
RispondiEliminaEro al corrente dell' esperimento di Cuba ma non sapevo i particolari. E poi non volevo mettere troppa carne al fuoco (sarebbe stato il colmo!), essendo l' articolo già abbastanza lungo.