"Una mela al giorno leva il medico di torno", "Consumate almeno cinque porzioni al giorno di frutta e verdura" sono luoghi comuni e suggerimenti diventati un mantra nella nostra cultura che ognuno avrà sentito ripetere un' infinità di volte, e la convinzione che qualsiasi dieta purchè tutta vegetale e a base di alimenti organici sia una sorta di panacea in grado di prevenire e perfino invertire il decorso anche di malattie degenerative si sta pericolosamente diffondendo.
A scanso di equivoci, lungi da me l' intenzione di screditare questo provvidenziale orientamento verso il "verde" e il naturale, ma è opportuno far notare che in casi come questi è molto facile generalizzare e banalizzare.
Non ritengo il caso di ripetere cose da me già dette e stradette, ma voglio ribadire che non esiste una dieta ideale, nel senso di schema definito che possa andar bene sempre e per tutti, ma piuttosto dei criteri di scelta più o meno validi di ciò che è opportuno mangiare partendo da un modello generale.
Ed è in sostanza quanto si può desumere dall' ultima edizione (aprile 2014) del simposio annuale dell' American Association for Cancer Research , un mega-evento che ha richiamato più di 18500 ricercatori e professionisti del settore per fare il punto sulle ultime novità sul cancro, il male del secolo, quello che incute più paura in assoluto. Ebbene, contrariamente a quelle che presumibilmente erano le aspettative di molti e anche degli stessi scienziati, la parte dedicata a nutrizione e stile di vita era relegata a uno spazio marginale perchè le pochissime novità (e di modesto rilievo) si riassumevano sostanzialmente in qualche notizia in più sull' importanza della vitamina D, a conferma di quanto già si sapeva sul suo ruolo nel cancro, e in indizi sulla protezione del caffè in alcuni tipi di tumori.
Del resto il laconico, sconcertante commento in questa occasione del dr. Walter C. Willett, probabilmente il massimo epidemiologo al mondo che studia da molti anni il rapporto fra cibo e cancro, illustra perfettamente la situazione nel campo della ricerca, gettando nello sconforto chi si aspettava da essa conferme alle proprie convinzioni o novità incoraggianti: "Se può essere vero per altre malattie, quando si tratta del cancro c'è scarsa evidenza che frutta e verdura siano protettive e che una dieta con cibi grassi ne sia promotrice."
Il dr. Willett, che pure è un sostenitore di diete sobrie a base di alimenti organici e in gran parte vegetali, ha dovuto così, suo malgrado, riconoscere che la scienza della nutrizione, almeno così com'è stata intesa fino ad oggi, non ci capisce granchè del rapporto fra cibo e salute, nonostante ciò che possono farvi credere. L' unica certezza granitica riguarda l' importanza di conservare il peso-forma: non ci sono dubbi che quanto maggiore è il sovrappeso tanto maggiori sono i rischi di ammalarsi non solo di cancro, ma anche di cardiopatie, ipertensione, ictus, diabete di tipo 2 ecc., cioè di tutte le più gravi e significative patologie del nostro tempo. Ma, a meno che non soffriate di gravi carenze, l' influenza di cibi specifici, o di cosiddetti supercibi oggi tanto di moda, è pressocchè irrilevante.
La situazione sembrava differente nel 1997, quando il Fondo Mondiale per la Ricerca sul Cancro (la più autorevole organizzazione che studia il cancro, comprendente più di 150 ricercatori indipendenti dei più prestigiosi istituti di ricerca di vari continenti) e l' American Institute for Cancer Research pubblicarono un rapporto spesso quanto un elenco telefonico le cui conclusioni erano che diete che abbondino in frutta e verdure riducono l' incidenza generale di cancro di più del 20%. Dopo aver vagliato più di 4000 studi gli autori si convinsero che le verdure verdi aiutano a prevenire il cancro polmonare e quello allo stomaco, mentre il cancro del colon e della tiroide risultavano protetti da broccoli, cavoli e cavolini di Bruxelles. Anche cipolle, pomodori, aglio, carote e agrumi sembravano avere importanza.
Le cose però cambiarono nel 2007, quando fu pubblicato un secondo rapporto in seguito ad una profonda revisione di tutti gli studi fatti fino a quel momento, potendosi avvalere di tecnologie rivoluzionarie nel raccogliere informazioni e analizzarle, inoltre la revisione era impostata più su criteri epidemiologi, mentre fino ad allora le conclusioni si erano basate maggiormente su dati forniti dall' anamnesi dei soggetti studiati. Gli autori del rapporto concludevano così che in nessun caso la protezione di cibi specifici risultava di evidenza schiacciante. Stesso discorso vale per alcuni noti fattori di rischio, come scarsità di fibre vegetali e carni rosse, entrambi associati al cancro al colon: i risultati di ricerche sono contraddittori o poco significativi per giungere a una conclusione certa, com' è riassunto in due articoli (se ne parla qui e qui).
Insomma sembra che più la scienza avanza, più aumenta la confusione. Che significa tutto questo? Perchè la scienza sembra impantanata?
A parte le oggettive difficoltà logistiche che si presentano nel compiere studi seri nel campo della nutrizione (che richiedono fra l' altro tempi molto lunghi per giungere a risultati di qualche valore), il vero problema è la quantità molto elevata e non sempre valutabile di quelli che gli addetti ai lavori definiscono "fattori confondenti", che possono interferire sui risultati e falsarne l' interpretazione.
La fisica più avanzata ha dimostrato che viviamo in un universo di interazioni, dove tutto si relaziona con tutto. Ciò significa che quanto più un fenomeno è complesso, presentando troppe variabili, tanto più il metodo analitico-scientifico ha difficoltà a comprenderlo e gestirlo, mostrando il suo tallone d' Achille (e il cancro ne è sicuramente un esempio). E' la paralisi da analisi, un problema imputabile ai limiti del riduzionismo, da tempo risaputo, che alcuni scienziati hanno cercato di superare spostando progressivamente la loro attenzione dalle singole sostanze nutrienti dapprima agli alimenti completi, per poi approdare a modelli alimentari (che significa prendere in considerazione la dieta nel suo insieme) al fine di capire meglio il rapporto con determinate condizioni.
E' quanto stanno da tempo facendo scienziati come Colin Campbell e Franco Berrino, che pongono l' enfasi su modelli complessivi di dieta piuttosto che su singoli alimenti, e men che meno su specifici nutrienti. Insomma è l' equilibrio generale della dieta ciò che maggiormente conta. Per esempio aumentare il consumo di cereali integrali risulterà di dubbio beneficio, o addirittura controproducente, se a questo non si accompagnerà una riduzione del cibo animale e al contempo un incremento di altri vegetali; persino la paleo-dieta, seppure per me non condivisibile per la sua concezione di fondo, presenta una certa coerenza, una sua plausibilità nel porre un limite alla quota di cibo animale, specificandone le caratteristiche qualitative e raccomandando di accompagnarlo con una certa varietà di vegetali che in qualche modo ne equilibrano gli effetti. Essa è perciò sicuramente più sensata di altre diete analoghe che enfatizzano proteine animali e grassi.
Concentrarsi sui modelli alimentari invece che sulle sostanze chimiche è dunque un primo passo molto importante, ma siamo ancora lontani dalla visione olistica a 360° della macrobiotica o dell' ayurveda. Un grosso limite della scienza convenzionale è infatti il suo approccio standardizzato che non tiene conto di fatto della grande diversità costituzionale individuale, che richiede diete e trattamenti personalizzati che tengano conto anche del tipo di attività svolta e dell' ambiente in cui si vive.
Per fare questo bisogna però imparare a considerare il cibo in termini energetici e relazionali. Solo così ci si può rendere conto, per fare un esempio banale, delle caratteristiche eccezionalmente espansive di una banana, che non si possono dedurre dalle nozioni astratte della scienza riduzionistica, per la quale il frutto in questione è "solo un tot di calorìe derivanti da carboidrati, oltre a potassio, vitamine, acqua ecc.". Questo implica a sua volta che l' effetto della banana sarà completamente diverso se consumata in Lapponia oppure in Africa equatoriale (e il fatto che in questo habitat la natura produca spontaneamente banane, mentre in Lapponia no, la dice lunga su come dovremmo scegliere gli alimenti), come pure se lo faremo nel pieno della calura estiva o durante il rigore invernale.
Come si vede siamo di fronte a una nuova rivoluzione copernicana, ma sono ancora in pochi ad averlo capito...
Michele Nardella
"Come si vede siamo di fronte a una nuova rivoluzione copernicana, ma sono ancora in pochi ad averlo capito..." E io, credo, sono tra i pochi, ma mi tengo sempre aggiornata. Grazie Michele, questo tuo articolo è particolarmente chiaro ed incisivo. Buona serata!
RispondiEliminaGrazie a te, Giancarla. Mi riempie di soddisfazione il tuo apprezzamento per i miei scritti.
RispondiEliminaLa dieta per tutti, puoi ben dirlo, non funziona. Individuare l'armonia dell'alimentazione con il proprio corpo non è facile ma nemmeno impossibile, anche se le difficoltà non mancano. Occorre una guida sensata ottenibile da conoscitori molto esperti che sappiano considerarci personalmente ed essere in primis attenti analizzatori di noi stessi.
RispondiEliminaE' quello che sostengo anch' io.
EliminaTuttavia, se è vero che ognuno è diverso, è altrettanto vero che, in quanto umani, abbiamo indubbiamente molte caratteristiche comuni, perciò la dieta umana deve tenerne conto con indicazioni generali. Ed è proprio questo il punto cruciale che entra in gioco quando si propongono modelli dietetici come quelli che vanno per la maggiore, i cui rispettivi fautori considerano verità assolute.
Perciò, come l' articolo voleva dimostrare, non ci sono da questo punto di vista molte raccomandazioni assolutamente sicure da dare.
Sono una Psicologa specializzata in comportamento alimentare e concordo su tutta la sua linea. Mi piacerebbe aggiungere che purtroppo oggi si fa fatica ad entrare nell'ottica del modello bio-psico-sociale, limitando tutto ciò che ruota intorno al cibo esclusivamente alla ricerca spesso ossessiva di "cibo buono", per poi ritrovarsi a dover fare i conti con gli agiti compulsivi verso il "cibo cattivo". Ritengo di fondamentale importanza spostare il focus dell'attenzione alla qualità della"relazione con il cibo", perchè sappiamo bene quanto il cibo veicoli spesso emozioni negative e il comportamento alimentare dipenda in grande parte dai significati che vi si attribuiscono e che derivano dalla propria storia personale. Sembra dunque essere importante mantenere il proprio peso forma per non incorrere in diverse patologie. Può sembrare semplice da dire, ma la realtà è un'altra: le persone non sono in grado di ascoltare i segnali che il corpo invia loro, mangiano spesso per appetito e non per fame, o ad orari stabiliti da qualcun altro, perdendo di vista la grande importanza di capire se quel cibo e quelle quantità li fanno sentire bene. E' tutto molto spersonalizzato e schematizzato. "Mangiare sano" ha poco senso se non ci si arriva attraverso un percorso individuale che tenga conto del proprio personale punto di partenza, così ci si ritrova molto spesso a mangiare "bene" il giorno e ad abbuffarsi la sera. Per me non esistono "cibi SI" e "cibi NO", ma esiste ciò che mangio e che mi fa sentire bene. L'eccesso in un senso o nell'altro è sempre la spia di qualcosa che va preso in considerazione. La ricerca di un buon equilibrio è sicuramente la più sicura e garantisce il vero benessere.
RispondiEliminaGentile D.ssa,
RispondiEliminagrazie per il suo intervento in cui espone delle giuste e opportune osservazioni su cui mi trovo sostanzialmente d' accordo.
Ho sempre sostenuto anch'io, o lasciato intendere, che le scelte alimentari dovrebbero sempre essere dettate dalle esigenze individuali, così come è vero che la psiche condiziona i nostri comportamenti alimentari. Tuttavia è vero anche il contrario, anche se in questo caso la scienza non ci aiuta a capire in che modo i nostri eccessi, o la scelta di cibi sbagliati, condizionino le nostre "simpatie" e i nostri comportamenti compulsivi nei confronti del cibo.
Inoltre bisogna tener presente che gli studi scientifici, essendo impostati su criteri statistici, sono mirati ad accertare regole di carattere generale.
Di qui l' importanza di integrare le conoscenze scientifiche con quelle delle medicine antiche olistiche.