sabato 3 febbraio 2018

Antibiotico-resistenza: una seria emergenza sanitaria che spaventa e preoccupa la comunità scientifica

Che il mondo stia attraversando un eccezionale periodo di crisi globale dovrebbe essere chiaro a chiunque non abbia vissuto gli ultimi 4 o 5 lustri in un rifugio atomico, un eremo o un convento di clausura. Terrorismo, calamità naturali, riscaldamento globale, contaminazione ambientale,  crisi energetica, estinzione di specie animali e vegetali, criminalità dilagante, disturbi mentali che portano a comportamenti asociali e a ogni forma di violenza sono problemi che non sono mai esistiti prima, o non in questa misura.

Come se non bastasse, a completare il quadro va aggiunta un'altra minaccia non meno grave, di cui tuttavia si sente parlare meno: il fenomeno in costante avanzata della resistenza dei microrganismi agli antibiotici, che apre scenari apocalittici in un futuro neanche troppo lontano se non si interviene subito con misure adeguate.

E lo annuncia con un laconico commento l'economista Jim O'Neill,  attuale ministro britannico del Commercio, incaricato dal suo governo di fare il punto della situazione e studiare soluzioni possibili su scala globale: "L'antibiotico-resistenza è molto più preoccupante del crac finanziario del 2008", alludendo evidentemente alle catastrofiche ripercussioni economiche mondiali, oltre a quelle ovvie sulla salute.

Ma prima di passare a questo chiariamo subito di che si sta parlando. 

Quello che, con la scoperta della penicillina nel lontano 1928, è stato salutato come un successo epocale, una pietra miliare nella storia della medicina per aver dato un contributo decisivo all'aumento dell'aspettativa di vita, contrassegnando quella che si potrebbe definire l'"era degli antibiotici", si sta rivelando un boomerang.

La progressiva perdita di efficacia dei farmaci antimicrobici (termine generico per indicare non solo gli antibiotici in senso stretto, efficaci solo sui batteri, ma anche i farmaci antivirali e antimicotici) non è certo un fenomeno nuovo, ma fin dalla sua comparsa negli anni '50 del secolo scorso ha visto una costante crescita divenuta ormai seriamente preoccupante. Già nel lontano 1945 Alexander Fleming, lo scopritore della penicillina (il primo antibiotico), durante la stessa cerimonia di premiazione col Nobel per la medicina proprio per la sua scoperta, aveva messo in guardia la comunità medica precisando che il farmaco, se somministrato ripetutamente in dosi non letali, avrebbe reso resistenti i batteri che ne erano il bersaglio.

Quello della antibiotico-resistenza è forse il miglior esempio a conferma della teoria darwiniana della selezione naturale. Nella fattispecie succede che, considerata l'eterogeneità genetica di una data popolazione di microrganismi (ma vale per tutti gli esseri viventi), ci saranno individui più o meno sensibili ad un dato antibiotico, perciò, anche se la stragrande maggioranza di essi ne subirà la distruzione, ce ne rimarranno con ogni probabilità alcuni che sopravviveranno. E per quanto pochi potranno essere, questi, non avendo più competitori per il cibo e lo spazio da occupare, potranno a quel punto avvantaggiarsi e moltiplicarsi liberamente aumentando così di numero di generazione in generazione.

Infatti gli antibiotici naturali sono un fenomeno che è parte del normale processo evolutivo esistente in natura a cominciare dalle forme di vita più elementari. Molti di essi sono prodotti derivanti da piante come risultato di un lungo periodo di adattamento a circostanze ambientali avverse. I vegetali infatti, non potendo fuggire da un nemico predatore, nè aggredirlo fisicamente, hanno potuto competere con altre specie viventi e sopravvivere grazie a queste difese chimiche.

Quanto alle modalità con cui i microrganismi riescono a rendersi insensibili agli antibiotici ci sono diverse possibilità: l'ospite distrugge l'antibiotico grazie a specifici enzimi, modifica il target su cui l'antibiotico agisce, può utilizzare una via metabolica diversa in alternativa a quella inibita, può modificare la permeabilità della membrana cellulare per impedire la penetrazione del farmaco o imparare ad espellerlo.

Dunque l'adattamento di una specie di microrganismo ad un antibiotico fino a renderlo inefficace è un fatto ineluttabile in quanto il suo compimento è solo una questione di tempo, ma indubbiamente l'uso sconsiderato che si è fatto finora e si continua a fare non può che accelerare enormemente il processo, potendosi perciò considerare la causa determinante della situazione che si è venuta a creare.

Ed è fin troppo facile eccedere con quello che è visto come il classico farmaco "miracoloso" salvavita, quello che ci mette subito al sicuro da ogni possibile pericolo, senza sapere che molte infezioni batteriche si risolvono spontaneamente. Gli stessi medici ci vanno pesante perché non vogliono correre inutili rischi, comprese controversie che possono portare a cause legali, il che rende ragione del massiccio uso profilattico che si fa specie in ospedale (si pensi solo al settore chirurgico). Inoltre, siccome occorre eseguire dei test per poter sapere quale tipo di antibiotico è il più indicato di volta in volta e attendere qualche giorno per conoscere l'esito, spesso per non aspettare si preferisce somministrare l'antibiotico che il medico empiricamente presume essere il più adatto, con tutti i rischi del caso, oppure ne usa uno a largo spettro per essere più sicuro che tra i tanti batteri su cui agisce ci sia anche quello che fa al caso. Questo significa ovviamente uccidere anche la flora batterica benefica e favorire così la resistenza. E se neanche questo funziona si provano altri antibiotici o si aumenta la dose.


Ma il contributo maggiore alla resistenza viene da una fonte generalmente sottostimata: l'allevamento intensivo del bestiame, in cui si fa massiccio uso di antibiotici non solo a scopo profilattico (date le condizioni di estremo affollamento e quindi di facilità di contagio in cui vengono fatti vivere gli animali), ma soprattutto per aumentarne la crescita e quindi la resa. Succede dunque che batteri diventati di conseguenza resistenti contagino i consumatori di questi prodotti animali d'allevamento trasferendo loro la resistenza.

Questo significa che un soggetto umano potrebbe diventare a sua insaputa farmaco-resistente al limite senza aver mai usato antibiotici in vita sua, ma solo per aver mangiato carne d'allevamento.

Ma il trasferimento della resistenza e le infezioni da animali ad umani è solo una parte del problema, in quanto il fenomeno è favorito anche dall'estrema facilità con cui avvengono oggigiorno viaggi e scambi intercontinentali, dato che i microrganismi non conoscono frontiere. E a proposito di scambi, c'è da dire che gli stessi  batteri, potendo fra di loro scambiarsi i geni, compresi quelli della antibiotico-resistenza, possono far diventare  a loro volta resistenti anche altre specie sensibili.

Le conseguenze della farmaco-resistenza sulla salute sono facilmente immaginabili: cure e degenze più lunghe e costose, ulteriore utilizzo di antibiotici e soprattutto rischio di complicanze e di morte nettamente aumentato. L'OMS stima che già oggi le infezioni resistenti ai farmaci siano responsabili di 700mila morti l'anno nel mondo e che, se l'attuale tendenza rimarrà invariata, entro il 2050 potrebbero salire a 10 milioni!

Ciò che invece è meno prevedibile e più difficile da calcolare sono le ripercussioni dirette e indirette sull'economia mondiale. Qualcuno ci ha provato tuttavia, e il già citato ministro Jim O'Neill nel suo rapporto riferisce di stime che parlano di una diminuzione del PIL (Prodotto Interno Lordo) compresa tra il 2 e il 3,5% entro il 2050 con un costo mondiale fino a 100mila miliardi di dollari (ma forse i dati sono sottostimati) di cui le economie emergenti subiranno il peso maggiore. Si tratta di costi dovuti a mancata produttività, costi sociali e sanitari e crollo del turismo in quei paesi più indigenti dove il rischio di infezioni è particolarmente alto.

Perciò, si dice sempre nel rapporto, le strategie per far fronte all'emergenza devono essere attuate a più livelli avvalendosi di una collaborazione interdisciplinare e internazionale. Queste devono essere incentrate sul monitoraggio dell'evolversi della situazione; su una maggiore comunicazione col personale sanitario quanto con la popolazione per informare su di un uso oculato di questi farmaci, avvalendosi di informazioni ottenute sfruttando le potenzialità offerte dalla genetica, dalla genomica e dall'informatica; sul coordinamento degli sforzi internazionali per regolamentare e uniformare l'uso degli antimicrobici  e per condividere dati di ricerca per evitare sprechi di tempo e risorse impegnandosi in studi e ricerche già compiuti da altri; sullo sviluppo di nuovi farmaci stimolando, grazie ad incentivi, le case farmaceutiche più riluttanti ad investire in ricerca; su un maggior uso dei vaccini che, prevenendo le infezioni ridurrebbero la necessità di ricorrere agli antibiotici (e ti pareva che non si trovasse l'ennesima scusa per perorare la causa vaccinale!); su una rivalutazione delle terapie alternative; su una maggiore attenzione alle misure igieniche.

Questi ultimi due punti sono i più interessanti, essendo chiaro che l'avvento degli antibiotici ha fatto in modo che venissero sempre più trascurate le condizioni che in definitiva fanno prosperare i microrganismi patogeni (come disse Pasteur, "Il microbo è nulla; il terreno è tutto", particolare poi sistematicamente ignorato da medici e industria farmaceutica).

Quanto alle terapie alternative, queste stanno suscitando un meritato rinnovato interesse dopo un lungo periodo di oblìo iniziato appunto con la scoperta degli antibiotici e la farmacocrazia che ne è seguita. Forse non sempre si rivelano altrettanto efficaci degli antibiotici ma almeno non hanno gli effetti collaterali di questi ultimi e al contempo rinforzano il sistema immunitario, perciò il momento è propizio per una loro auspicabile affermazione. Le strade attualmente battute sono l'utilizzo di fagi (o batteriofagi), l'argento colloidale, gli oli essenziali e la vitamina C.

Per quanto riguarda i primi, si tratta di speciali virus che hanno il potere di distruggere specifici batteri e sembra una strategia molto promettente. Se ne è parlato in un congresso mondiale sulle malattie infettive tenutosi a Parigi (1-3 giugno 2016) e ora ce n'è un altro in programma a Firenze il 17-18 maggio prossimi;

L'argento colloidale è un rimedio molto antico tornato prepotentemente attuale dopo un lungo periodo di declino iniziato con l'uso generalizato degli antibiotici di sintesi che ne segnò la cessazione della produzione anche a causa dei costi allora troppo elevati;

Anche l'uso degli oli essenziali è antichissimo e la letteratura che ne tratta è molto vasta. Da segnalare "Cura delle malattie con le essenze delle piante" di Jean Valnet. E a tal proposito c'è una notizia imperdibile che viene da uno scienziato marocchino, Adnane Remmal, il quale ha realizzato un farmaco innovativo, combinando l'effetto degli oli essenziali con quello degli antibiotici, che potrebbe risolvere definitivamente il problema della resistenza. Quando l'antibiotico si combina con gli oli essenziali, oltre a potenziare l'effetto che si avrebbe utilizzando singolarmente i due rimedi, sfuggirebbe ai meccanismi che conducono infine alla resistenza. Il ricercatore inoltre detiene già due brevetti relativi agli oli essenziali, di cui uno ottenuto per un prodotto destinato all'alimentazione animale in grado di sostituire completamente gli antibiotici, grazie al quale ha ottenuto come riconoscimento l'Innovation Prize for Africa 2015.

Infine la vitamina C, delle cui straordinarie proprietà aveva già parlato per primo il premio Nobel Linus Pauling, è il tema di un libro di Thomas Levy, "Vitamina C per liberarti da malattie infettive e tossine".


Purtroppo, come si sa, il mondo accademico ha sempre guardato con diffidenza ai rimedi alternativi naturali in quanto la loro efficacia, specie per quanto riguarda gli oli essenziali, è valutata in base a criteri empirici, mentre si richiede di aderire ai protocolli di sperimentazione ufficiali per essere approvati. Inoltre le sostanze naturali, non potendo essere brevettate, non possono essere fonte di guadagno per le case farmaceutiche e quindi vengono deliberatamente ignorate. Se poi si pensa che da diversi decenni vengono immessi sul mercato sempre meno nuovi antibiotici, dato che si investe sempre meno in questo campo in quanto a causa della farmaco-resistenza le case farmaceutiche non sono sicure di poter ottenere un ritorno economico prima che il farmaco perda di efficacia, sarebbe davvero ora di cambiare politica.

Ricordo che l'Italia è uno dei paesi a più alto consumo di antibiotici e quindi il problema della farmaco-resistenza è molto sentito. Per questo è entrato in vigore un Piano Nazionale 2017-20 per far fronte alla situazione, attirandosi però le critiche di varie associazioni, come Legambiente, WWF Italia, ARCI e Greenpeace che rilevano l'assenza nel piano di alcun riferimento all'uso degli antibiotici negli allevamenti intensivi. Eppure questo sarebbe un eccellente motivo in più per disincentivare il consumo di prodotti animali, già sotto accusa per tanti disastri.

Da tutte queste considerazioni si evince che una società che ha come priorità gli aspetti economici e materiali non ha capito che la qualità della vita ne risentirà inevitabilmente in qualche modo, finendo col ripecuotersi prima o poi anche su quegli stessi interessi. Non ci sono abbastanza risorse per una crescita illimitata semplicemente perché perseguire una crescita illimitata in un mondo evidentemente limitato è un ossimoro. Molti l'hanno già capito da tempo, ma adesso non c'è più tempo per pensare e crogiolarsi, bisogna agire e in fretta.

Michele Nardella
 
Antibiotici? No, Grazie! Antibiotici? No, Grazie!
Perché la farmacoresistenza è un problema? Le alternative naturali agli antibiotici
Gabriele Graziani, Luciano Graziani

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5 commenti:

  1. Non puoi immaginare come mi abbia fatto piacere leggere questo post! E' estremamente interessante e attuale, senza contare che, per i miei problemi, l'argomento mi riguarda in modo particolare. Le domande sarebbero veramente tante, prima però voglio approfondire questo tema. Intanto GRAZIE!
    Raffaella

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  2. Argomento di estrema attualità.
    Immaginavo questa conclusione.
    Il nostro organismo si può abituare anche al veleno, se assunto in piccole dosi in crescendo. Quello che scrivi chiarisce molti concetti che già appartenevano ai nostri avi. Grazie!

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    1. Grazie a te, Giancarla.
      E' vero, ma con questo articolo volevo in sostanza portare un ennesimo esempio del fallimento dell'attuale paradigma di pensiero che domina il mondo della scienza e non solo: un pensiero lineare e sequenziale che persegue uno sviluppo illimitato, mentre in natura vale il modello circolare (olistico), in cui ogni elemento di una catena è modulato in via retroattiva dal suo prodotto.
      La nostra società persegue obiettivi materiali, concreti e a breve termine, ma continuando in questa direzione a causa dei danni collaterali imprevisti si finisce col vanificare anche quelli.

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  3. Questo commento è stato eliminato da un amministratore del blog.

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